| Estratti dal libro di:  Paul J. Schulz (libera traduzione: V.Z.) Prefazione Si desidera fornire degli spunti di riflessione  sui sentimenti (sensibilità ed emozioni) quali parte integrante in un corso di  OM. L’allievo reagisce al corso anche in base alla percezione che ha del suo  istruttore. L’istruttore reagisce alla percezione dell’allievo e dei progressi  che si realizzano. Alcune di queste reazioni sono facilmente osservabili,  mentre altre interessano l’apprendimento in senso più sottile. Tuttavia,  nell’uno e nell’altro caso fanno la loro parte, più o meno incisiva, a seconda  che entrambe le parti (istruttore-allievo) siano consapevoli di ciò che sta  avvenendo.
 La consapevolezza dell’istruttore che le  emozioni sono una parte integrante nell’insegnamento e nell’apprendimento, può  essere usata a favore dell’allievo. Se l’istruttore capisce le funzioni del  processo docente-discente, ha uno strumento per meglio controllare e dirigere  qualunque cosa si verifichi durante il corso. Ha l’opportunità di capire il suo  allievo e capire cosa possa interferire con la sua capacità di imparare. La  sensibilità dell’istruttore può facilitare il processo di addestramento in un  corso di OM. In pratica, l’istruttore può usare ciò che conosce delle funzioni  del processo di addestramento di OM come attrezzo supplementare nell’assistere  il suo allievo durante l’apprendimento. Con maggiore conoscenza dei fattori che  interessano il lavoro di un istruttore di OM   con il suo l’allievo, potrà far fruttare al meglio il proprio intervento.
 1) - Un obiettivo importante durante il  corso di OMUna delle abilità più importanti per una persona con  disabilità visiva è conquistare la capacità di muoversi con relativa  indipendenza. E’ un’abilità importante, perché lo libera dalla necessità di  dipendere dalla famiglia e dagli amici ogni volta che desidera spostarsi. La  libertà dalla dipendenza che guadagna interessa il concetto di sé e degli  altri. Poiché questa abilità è  importante, è essenziale considerare ogni elemento del processo di addestramento.  Non è sufficiente considerare un corso di OM come trasmissione di  conoscenze.  E’ importante conoscere che  cosa accade a livello emotivo e di sensibilità durante questo processo.  L’istruttore di OM ha sentimenti e  atteggiamenti che potrebbero influenzare l’allievo con cui sta operando.  L’allievo ha i propri sentimenti e sensibilità in merito a ciò che sta  imparando, sulle richieste che gli vengono fatte e soprattutto verso  l’istruttore. Per alcuni versi, questi sentimenti e atteggiamenti interesseranno  e influiranno sui risultati. Avranno questo effetto se l’allievo e l’istruttore  non sono informati su cosa pensano e provano durante il corso. Se l’istruttore  è ignaro della sensibilità e degli atteggiamenti che sono parte integrante del  processo di apprendimento, perde un’occasione per usarli a vantaggio  dell’allievo. Se questi processi sono maneggiati con consapevolezza si sarà in  possesso di uno strumento che aiuterà a controllare e facilitare il progresso  degli allievi. Di conseguenza si sarà istruttori più efficaci. Istruttore e  allievo, trarranno beneficio dall’esperienza.
 2) - Rapporto tra istruttore e allievo Il rapporto istruttore-allievo è  un elemento importante durante il corso di mobilità.
 L’istruttore insegna ciò che ritiene  utile per quel particolare allievo e l’allievo non impara come se stesse  ricevendo informazioni da una macchina. Ciascuno ha la propria sensibilità  verso l’altro. Se questa sensibilità è positiva l’apprendimento sarà  facilitato, se è negativa interferirà. L’istruttore che gradisce un allievo  sarà più interessato nel suo progresso durante le lezioni. Per contro,  l’istruttore che ha antipatia per un allievo può tranquillamente insegnare con  competenza ma gli costerà uno sforzo più grande.  Il rapporto può essere ulteriormente  complicato dal grado di consapevolezza delle parti sui propri sentimenti.  L’istruttore non può far trasparire l’antipatia verso il suo allievo ma se  percepisce tale antipatia nel suo allievo può trovare difficile instaurare un  buon rapporto verso di lui. Se l’allievo percepisce freddezza da parte del suo  istruttore potrà aver difficoltà nel fidarsi dei suoi giudizi. Quando  l’istruttore percepisce positività nei suoi confronti da parte dell’allievo,  troverà più facile il lavoro e lo stesso sarà più efficace. Se l’allievo sa di  essere gradito dal suo istruttore, troverà più facile il lavoro, accetterà  anche le critiche costruttive e sarà più facile comunicare le proprie idee in  una tale situazione.
 Transfert e  contro-transfert
 I sentimenti di una persona verso  un’altra, in una relazione, non hanno spesso niente a che fare con le parti in  causa. L'allievo può avere sentimenti positivi o negativi verso il suo  istruttore perché in questa situazione gli ricorda  un'altra persona. Trasferisce questi sentimenti  alla nuova  persona con cui si trova.  Tecnicamente questo è denominato transfert.   I sentimenti possono essere positivi o negativi, ma provengono da altre  fonti, non dalla situazione immediata.  Naturalmente, clinicamente il processo è più complicato, ma anche durante il  corso di OM possono essere presenti alcuni di questi elementi. Per esempio,  l'allievo può avere un rapporto sgradevole con una figura (magari autoritaria)  del quale si è risentito. Se l'istruttore di mobilità gli ricorda questa persona,  trasferisce questo rancore all'istruttore o, se il rapporto con la figura  precedente era  positivo, trasferisce  questi sentimenti positivi all'istruttore e il rapporto funziona bene. Simili  sentimenti dell’istruttore verso il suo allievo possono essere chiamati  contro-transfert e,  come nel caso  dell’allievo, provengono da una  rapporto  precedente piuttosto che dalla situazione immediata.  Varie situazioni durante il corso  promuovono il transfert e il contro  transfert. Le lezioni sono frequenti e il tempo speso insieme  è relativamente lungo. L’istruttore è, in un  senso, una figura di autorità perché è informato, mentre l’allievo sta  imparando. La figura di autorità è soltanto una base per lo stimolo di  transfert e di contro-transfert. I sentimenti delle due parti in gioco sono  implicati nel processo di addestramento a causa dello sforzo alimentato tramite  il processo stesso.
 L’allievo può non essere consapevole dei  motivi per gradire o meno l’istruttore. Tuttavia, l’istruttore, come esperto,  dovrebbe essere informato che i sentimenti presenti nel rapporto possono  provenire da fonti indipendenti dalle persone implicate nel rapporto imminente.  Spesso, essere informato che le reazioni negative percepite nell’allievo  possono essere il risultato del processo di transfert può aiutare a trattare  più obiettivamente con esso. Sapere perché c’è una certa reazione può aiutare  l’istruttore a controllare meglio il suo allievo. Potrà lavorare bene come con  altri allievi e potrà diminuire gli effetti di questi meccanismi incontrandolo,  se opportuno, meno di frequente o riducendo la lunghezza di ogni lezione.
 Distanza professionale
 Questo concetto può essere definito come  atteggiamento messo in atto dall'istruttore per controllare l'interazione fra  lui ed il suo allievo. Il controllo è essenziale se l'istruttore desidera  assicurare il suo successo nell'addestramento di ogni allievo durante il corso.  L'istruttore deve controllare non solo le funzioni tecniche della comunicazione  e della conoscenza, ma deve controllare ogni elemento che può facilitare o  interferire con il processo di istruzione. Anche il rapporto e l'interazione  personale fra l'istruttore e l'allievo è uno di questi  elementi.
 Un esempio è quello di una giovane  donna  che si è infatuata del suo  istruttore. Ogni volta che l’istruttore ha parlato della sua fidanzata, lei  diventava gelosa e si arrabbiava. Lo ha dichiarato anche lei. Piccole  attenzioni nei suoi confronti la appagavano, altre volte invece annullava le  lezioni senza alcun buon motivo o si comportava in modo ambiguo durante le  lezioni. L’impressione dell’istruttore era di non saper comprendere il motivo  reale del suo comportamento. Un altro caso è di un allievo che era piuttosto  apatico e svogliato durante le lezioni perché, semplicemente, pensava al suo  istruttore come a un buon amico. O le aspettative dell’istruttore non erano ad  un certo livello a causa del rapporto instaurato, o l’allievo pensava che il  suo istruttore non insistesse su un certo livello di prestazioni perché amici.  Questo è un errore sciocco che può portare conseguenze negative sull’andamento  del corso.  C’è una differenza fra essere  amichevole con gli allievi e sviluppare un’amicizia che interferisce con il  processo d’istruzione. Se il rapporto è troppo vicino, l’istruttore potrebbe  non esigere dal suo allievo ciò che esige normalmente da altri. Potrebbe aver  paura di danneggiare la sensibilità del suo allievo dicendogli che non sta  facendo bene e l’allievo potrebbe essere lascivo durante le lezioni perché,  normalmente, un buon amico trascura gli errori.
 Certamente nessun istruttore farebbe  questo deliberatamente o coscientemente, ma è una casualità non rara in una  relazione d’aiuto. Non significa che l’istruttore deve avere un atteggiamento  distaccato con il suo allievo o diventare autoritario. Significa semplicemente  che deve controllare la relazione in modo che non ci siano elementi che  interferiscano con la capacità di insegnare all’allievo. Un fattore che  interessa il rapporto è il contatto che l’istruttore ha con il suo allievo oltre  alle lezioni. Ci si può incontrare per pranzo o per un caffè; si può ricevere  un invito a cena o la richiesta di un passaggio. Le possibilità di contatto  nelle ore di non-lezione sono infinite. Ma qualunque esse siano potrebbero  interferire con il controllo della relazione e il processo di insegnamento ne  risentirebbe.  L’istruttore deve essere  giudice di che cosa è essenziale nel processo di addestramento e di cosa può  essere nocivo. Dovrebbe essere informato su ciò che spesso sembrano essere atti  insignificanti o casuali che invece hanno un certo effetto nel rapporto. A  volte può essere utile un confronto con altri istruttori o la presenza di un  supervisore.
 3) - L’ansia e l'allievo L'ansia è indubbiamente l'emozione  dominante presente durante il corso di OM.
 Altri sentimenti quali il sottovalutarsi  o la depressione possono essere presenti ma provengono solitamente dalla causa  della cecità non dal processo di addestramento. Le persone con disabilità  visiva possono essere depresse perché devono dipendere da altri; ma certi  sentimenti sono stimolati dagli eventi, sono una conseguenza della disabilità.  L’ansia durante il corso di OM è solitamente   dovuta all’esperienza di apprendimento. Con poca o in assenza della  vista, l’individuo deve muoversi in luoghi non ben conosciuti. Anche se i  dintorni residenziali sono luoghi frequentati, hanno spesso poca familiarità o  sono conosciuti in modo approssimativo: usando solo il residuo visivo o su  indicazioni verbali di altre persone.   Non sono conosciuti con l’uso degli altri sensi o tramite l’uso del  bastone bianco lungo.  Gli allievi stanno  imparando nuove tecniche di mobilità e orientamento e il processo di  acquisizione di queste abilità, proprio perché fonte di nuove esperienze, può  generare ansia. Chi perde la vista deve confrontarsi con nuovi modi di  ragionare perché non possono più contare sulla protezione che garantiva loro la  vista e la paura di cadere o farsi del male è molto forte. E’ quindi  comprensibile come svariate situazioni in un corso di OM generino ansia.
 Prevedibilità dell'ansia
 Non è possibile predire la presenza o  l'assenza di ansia in una persona che sta intraprendendo un corso di OM. Anche  l'intensità  varia da un individuo ad un  altro. Una persona che è completamente cieca può avere poca o nessuna ansia  mentre impara, o avere un’ansia tale da non essere in grado di muoversi  autonomamente; questo anche per una persona con un residuo visivo  considerevole. Altre persone con residuo minimo possono avvertire molta ansia  ma possono mantenerla in limiti trattabili. Quindi, la presenza o l'assenza di  ansia durante un corso di OM è un aspetto specifico. L'istruttore deve  considerare esclusivamente ogni caso e valutarne gli effetti quando presente.
 Manifestazioni di ansia
 Un buon osservatore può determinare la  presenza di ansia dalle indicazioni che sono note alla maggior parte di noi:  sudorazione alle mani, respiro corto, tremolio della voce e degli arti. Ci sono  altri sintomi di ansia che possono essere meno noti. La persona che sta  tentando di fare qualcosa sotto ansia può essere disturbata nei propri  ragionamenti. Può comprendere male le richieste verbali; le sue risposte  verbali od operative possono essere confuse o inadeguate. Se l’ansia è forte,  comprometterà le capacità di agire in sicurezza. La risposta locomotoria è  influenzata dall’ansia e può far accelerare il passo, far compiere deviazioni  di percorso o arresti improvvisi quando si dovrebbe continuare a  camminare.  Lo stato d’ansia può essere o  è la spiegazione per molte delle difficoltà incontrate dagli allievi. Non  necessariamente sono riconducibili all’intelligenza perché l’ansia genera un  “cortocircuito” nei processi del pensiero. Deviazioni di percorso non sono da  ricondursi alla non capacità mentale di camminare in linea retta; è possibile  che la tensione sia tale da non far prestare attenzione alle indicazioni  uditive e cinestetiche disponibili.   Alcune persone hanno stati di ansia molto elevata in presenza di  qualcosa che temono; in queste circostanze l’ansia blocca i processi razionali  del pensiero e mette in serio pericolo le persone.  In sintesi, ci sono sintomi evidenti di ansia  come la sudorazione eccessiva e la tensione muscolare.   I sintomi meno evidenti includono  l’incapacità di afferrare semplici indicazioni o indizi utili all’orientamento  che non possono, come detto in precedenza, ricondursi all’intelligenza o alla  mancanza di esperienza dell’individuo.    Questi sintomi meno evidenti, proprio perché poco noti alla maggior  parte degli osservatori, possono essere trascurati come spiegazione possibile  per gli errori ripetuti da un allievo.
 Se l’istruttore trascura l’ansia come  possibile spiegazione per il comportamento specifico del suo allievo, non potrà  intraprendere delle azioni correttive appropriate. Mancherà un’occasione per accelerare  i progressi del suo allievo.
 Alcune cause di ansia
 L’ansia proviene da molte cause, ma senza un grado  ragionevole di ansia le persone e l’organismo entrerebbero indubbiamente in  situazioni potenzialmente pericolose. Ci sono cause che sono collegate alla  sopravvivenza, per esempio, nel caso in cui vi sia la possibilità reale di  ferirsi o pericolo di morte ma, anche quando questa possibilità reale non c’è,  l’ansia può essere presente.
 Se alla base dell’ansia c’è la possibilità di avere  un danno reale, questo deve essere preso in considerazione perché interessa la  capacità dell’allievo di reagire durante il corso di OM.
 Ansia situazionale
 Alcune situazioni sono ovviamente più  pericolose o possono sembrare potenzialmente più pericolose. Un allievo può  lavorare abbastanza bene in una zona calma ma sembra essere impaurito quando  deve muoversi in zone più trafficate. Un altro allievo può andar bene sul  proprio isolato e male su un isolato sconosciuto. In questo ultimo caso,  neppure la rassicurazione da parte  dell’istruttore che non vi è grossa differenza tra i due isolati, può  aiutare.   Da un’analisi superficiale,  questi due allievi potrebbero sembrare contraddittori nelle loro prestazioni,  ma da un’analisi più critica del loro comportamento si potrebbe scoprire che in  determinate situazioni sono molto ansiosi.   Le cause dell’ansia in situazioni specifiche differiranno da individuo a  individuo. Una persona è impaurita dai rumori forti del traffico e un’altra li  ritiene rassicuranti per meglio orientarsi. Un allievo può lavorare bene in vie  calme e meno bene in vie frequentate perché pensa che la gente lo osservi e  associ ad una immagine negativa la persona con disabilità visiva.
 Qualunque sia la causa di ansia in una  determinata situazione, è di importanza fondamentale determinare se c’è  qualcosa che influisce sulle prestazioni dell’allievo. In caso affermativo si  devono conoscere  le cause specifiche.
 Indicazioni mascherate
 Il valore delle indicazioni per far  fronte alle prestazioni richieste hanno caratteristiche relative. Se una  persona deve risolvere un problema in una determinata situazione, deve poter  distinguere quali sono le indicazioni utili per affrontarla.  Le indicazioni uditive sono naturalmente  molto importanti per le persone con disabilità visiva. Si devono sentire  determinati suoni e saperli interpretare correttamente per sapere se sono  utilizzabili.  Spesso la valutazione  sulle indicazioni uditive dipende dal rumore di fondo di un determinato luogo.  Se il rumore di fondo è basso non vi sono particolari difficoltà nel  discriminare i suoni utili che gli consentono di orientarsi e stabilire la  propria posizione. Spesso però ci si trova in situazioni dove queste  indicazioni sono mascherate da altri rumori, per esempio dal rumore improvviso  di un martello pneumatico, o dagli operai che stanno lavorando in un cantiere,  o dai richiami di altre persone. In questi casi l’allievo può avvertire ansia e  se questa è forte può dimenticare di prestare attenzione ad altre indicazioni  disponibili e comincia a disorientarsi.   In altri casi le informazioni uditive non sono mascherate in modo così  compromettente; il rumore interferente può offuscare soltanto alcune  informazioni. In tali situazioni chi ha difficoltà visive coglie subito un  disturbo delle informazioni uditive e nell’interpretazione delle indicazioni  che ha bisogno e questo può generare un inizio di ansia.
  Indicazioni ambigue Un'altra causa di ansia nell'allievo è la  presenza di indicazioni ambigue. Si può sentire qualcosa, ma non si è sicuri su  come utilizzare questa informazione; questa può essere una situazione in cui  l’ansia fa prendere decisioni errate. Per esempio, mentre si è in procinto di  attraversare si sente una voce che dice qualcosa. Non si è capito se la voce ci  ha avvertito di non andare o di andare o potrebbe  essere stato un commento non rivolto a noi.  Resta il fatto che questa comunicazione ambigua stimola ansia che a sua volta  interferisce con ciò che si è imparato e intrapreso. Durante questo  attraversamento si può improvvisamente prendere una decisione sbagliata e  rischiare di essere investiti. Questo comportamento può essere interpretato  come disattenzione da parte dell’allievo e l’allievo stesso potrebbe attribuire  l’errore alla sua disattenzione piuttosto che ammettere di aver preso  paura.  Se l’istruttore accetta la  dichiarazione del suo allievo e attribuisce l’accaduto alla disattenzione, male  interpreta la causa di quel comportamento. Non potrà quindi aiutare l’allievo a  risolvere il reale problema che è quello di fare i conti con l’ansia.
 Azioni correttive
 Nella maggior parte dei casi l’ansia si dissipa  durante il corso. Si guadagna stima di sé, nelle proprie abilità e si diventa  meno apprensivi. L’istruttore deve necessariamente informare gli allievi sugli  stati di ansia e non deve alimentarla mettendolo in situazioni che richiedono  la padronanza di abilità non ancora del tutto acquisite.  Lo scopo di questo capitolo è di far luce nei  casi particolari in cui l’ansia è così estrema che interferisce con il normale  svolgimento del corso di OM. Nel caso in cui l’istruttore abbia il sospetto  dell’esistenza di ansia estrema, è importante che ne discuta con l’allievo.  L’allievo può negare la sua ansia, ma l’istruttore può aiutarlo ad affrontarla  precisando che è una reazione naturale di cui non ci si deve vergognare.  L’istruttore può aiutare l’allievo a  controllare gli effetti del comportamento in situazione di ansia. Per esempio,  l’allievo può non attraversare piuttosto che farlo in stato di ansia. Oppure se  l’ansia lo induce ad esitare può concentrarsi sulle varie tecniche che  consentono un attraversamento sicuro. Per l’allievo, sapere che il suo  istruttore è informato sul suo stato di ansia e non lo condanna, riduce spesso  l’intensità di questo fenomeno. Quando si confida nel proprio istruttore, le  difficoltà sono condivise e non si ha la sensazione di doverle affrontare da  soli.  Nel caso in cui un allievo provi ansia  estrema riguardo a situazioni poco conosciute, l’istruttore può semplicemente  rendere gli esercizi più graduali. Per esempio, si può cominciare la lezione in  una zona conosciuta e poco a poco estendere l’itinerario. I cambiamenti  improvvisi, come iniziare una lezione in una nuova zona, hanno spesso generato  stati ansiosi. La gradualità che l’allievo può maneggiare è comunque a  discrezione dell’istruttore. Soltanto lui può conoscere come l’allievo lavora e  quando l’ansia interferisce con le prestazioni. Finché è informato di questo  può usare un buon metro di valutazione sulle prestazioni del proprio allievo e  individuare cosa può aspettarsi da lui. Lo stesso principio si applica per  quegli allievi che provano ansia in zone molto rumorose. Permettere  un’esplorazione graduale può aiutare ad abituarsi a quel tipo di rumorosità e  di confusione.  Spesso è importante dare  risalto verbale sulle indicazioni disponibili. Questo dovrebbe essere fatto  prima di affrontare certe situazioni e siccome non è mai male ripetere alcune  cose affinché vengano assimilate, è bene ripeterle di frequente specialmente  quando l’ansia dell’allievo può essere così alta da interferire con le  informazioni che l’istruttore sta dando.   Negli attraversamenti l’istruttore può stare a fianco del suo allievo  per un certo tempo in modo da permettere che egli si adatti ai nuovi rumori.  Può toccarle il braccio per rassicuralo di non essere da solo. Può essere molto  efficace perché alcune persone possono pensare di essere completamente isolate  quando il rumore è così forte da coprire le indicazioni uditive normali.
 Un caso speciale di ansia può essere  quello di un allievo ipovedente a cui viene proposto di lavorare bendato o di  chiudere gli occhi. Esso può sentirsi privato di sicurezza perché privato  momentaneamente della sua visione utile. Non è lo stesso che esserne privati  per sempre ma può capire che cosa cambia senza   il pur minimo residuo visivo. Questa è una prova che l’istruttore può  proporre al proprio allievo come "esperienza". E’ comunque sempre  bene avere il consenso dell’allievo prima di proporre la benda.
 4) - Funzione e problemi legati alla  dipendenza Dipendere da altre persone è uno dei  problemi più difficili che devono affrontare   le persone con disabilità visiva.
 Le persone con disabilità visiva  congenita, o che lo diventano in giovane età, affrontano questo problema da  subito. Spesso le persone che li circondano sono molto protettive e non sono al  corrente degli strumenti e degli addestramenti necessari per diventare  autosufficienti.
 L’adulto che perde la vista ha problemi  simili ma la sua reazione alla dipendenza è influenzata da fattori supplementari.  I familiari possono costringerli a dipendere da loro o spingerli spesso verso  una indipendenza non reale. In uno o nell’altro caso, la reazione è influenzata  dal fatto che la persona ha vissuto per molto tempo l’indipendenza prima di  perdere la vista. Era esente dalla necessità di dipendere da altri ed è più  informato su cosa potrebbe o non potrebbe ancora fare.
 Niente è più soddisfacente del  cambiamento che porta al muoversi e spostarsi liberamente. Anche nei dintorni  conosciuti o della propria abitazione dove spesso ci si accorge di non poter  più riuscire a spostarsi autonomamente. Ci si accorge di poter urtare contro un  palo, cadere dal ciglio del marciapiede e disorientarsi persino nella propria  abitazione. Ma se pian piano si acquisiscono abilità nel muoversi e gestire la  propria casa, allora si ha il coraggio e la voglia di sperimentare nuovi  percorsi, per esempio, andare a trovare il vicino di casa o al supermercato del  proprio isolato.
 Il problema specifico che riguarda gli  individui con deficit visivo è la motivazione al raggiungimento di  indipendenza, non importa quanto indipendenti si è ma cosa e dove si vuole  arrivare. Molti scopriranno che potranno fare tante cose ed altre che non  potranno fare o, in alcuni casi, farle a costo di molta fatica e  difficoltà.  Muoversi senza l’aiuto della  vista è un’abilità che può sembrare impossibile alla persona che ha perso la  vista da poco tempo. Ha contato sulla vista per così lungo tempo che non può  credere che potrà essere ancora una persona indipendente senza di essa. Spesso  queste persone prendono coscienza del problema proprio durante un corso di OM e  tutto ciò che sembrava impossibile comincia ad entrare nel regno della  possibilità.  Anche in questa situazione  però resta il problema della dipendenza. Si deve determinare cosa è realmente  possibile e cosa non lo è. La persona può iniziare l’addestramento con  aspettative molto elevate ma accorgersi che le sue abilità non sono  all’altezza. Muoversi nei luoghi conosciuti e calmi può essere molto facile ma  allargare questo raggio d’azione può sembrare uno scoglio insormontabile.  Affrontare il fatto che non può realizzare i suoi obiettivi iniziali può essere  demotivante e frustrante.
 Conoscere i propri limiti non deve essere  preso come causa della propria intelligenza che sembra venir meno, ma proprio  perché si è consapevoli e coscienti di ciò che in quel momento si è in grado di  fare o meno è essenziale per il movimento intelligente e sicuro. Bisogna  valutare ciò che si è in grado di fare da soli e quando si ha bisogno di aiuto.  Si può essere in grado di gestire il proprio isolato e più, ma non essere in  grado di attraversare un incrocio. Quello è il momento in cui chiedere aiuto a  qualcuno, per attraversare e poi procedere di nuovo da soli.
 Per le persone questa valutazione di sé è spesso difficile.  Una persona può pensare di aver raggiunto i limiti delle sue abilità mentre in  effetti sta imparando e facendo altri passi avanti. Un’altra persona non  ammette che ha raggiunto il suo limite finché non ha raggiunto il suo  obiettivo.
 Queste persone devono avere l’aiuto del proprio  istruttore. E’ l’istruttore che con attenta osservazione analizza il progresso  dell’allievo ed è in base a questa analisi che deve determinare se l’allievo  abbia raggiunto un limite nel suo imparare o se ha le capacità di migliorare le  sue prestazioni.
 Una volta che l’istruttore ha concluso  che l’allievo ha raggiunto i suoi limiti dovrebbe fornirgli queste informazioni  e discuterne con lui; se non si procede in questo modo, l’allievo non può  trarre beneficio da ciò che sta imparando e sulla sua condizione.  Quando un allievo impara che ha dei limiti  nella sua capacità di muoversi autonomamente dovrà occuparsi di che cosa  vorrebbe fare e che cosa può fare. Senza consapevolezza dei propri limiti  potrebbe mantenere aspettative molto altre ma con scarse probabilità di  raggiungerle. Potrebbe spingersi oltre questi limiti e mettersi in pericolo.  Deve accettare i propri limiti se desidera essere una persona che agisce in  sicurezza. La dipendenza dagli altri sarà quindi una dipendenza reale e non una  dipendenza costretta o stabilita da altri.
 Non è certamente facile per un istruttore  affrontare questo argomento che certamente deluderà il suo allievo. E’ meglio  dare una delusione che presto svanirà piuttosto che lasciare che il proprio  allievo lotti in situazioni nelle quali non potrà avere ulteriori successi. Se  le lezioni sono improduttive la frustrazione crescerà. In più, essere evasivi  sul problema e trovare altre motivazioni per dire al proprio allievo che il  corso può terminare non è onesto e professionale. Chi ci rimette è sempre  l’allievo. Un esempio è quello in cui l’istruttore trova delle scuse per  terminare il corso: mancanza di tempo, impegni improvvisi, ecc. Allora  l’allievo andrà in cerca di altri istruttori e, una volta iniziato un altro  corso dovrà affrontare ancora la frustrazione di provare ad imparare qualcosa  che va oltre le sue abilità.  Se una  persona ha reali limitazioni circa la capacità di muoversi autonomamente è bene  dirlo. L’istruttore può parlare con l’allievo riguardo a come e quando dovrà  dipendere da altri. Poiché l’istruttore sta aiutando l’allievo ad occuparsi  realisticamente del suo problema di dipendenza, sta fornendo l’aiuto di cui  l’allievo ha realmente bisogno.
 Un altro problema che riguarda gli  istruttori è quello della dipendenza dell’allievo da lui. Questa dipendenza è  stimolata dalla natura stessa del rapporto tra istruttore-allievo. L’istruttore  è il professionista, la figura dalla quale l’allievo dipende per acquisire  nuove abilità. Nelle fasi iniziali del corso l’allievo è molto indifeso e  l’istruttore gli è molto vicino. La sua sicurezza dipende dal suo istruttore.  Quindi, la dipendenza dell’allievo verso l’istruttore è sia inevitabile che  auspicabile. E’ inevitabile a causa della limitazione imposta dal danno visivo;  è auspicabile perché l’allievo deve sviluppare un certo grado di fiducia nel  suo istruttore se deve trarre beneficio dal suo insegnamento.
 L’intero processo di addestramento di un  corso di OM è un alternarsi di dipendenza per la conquista di fiducia e di  spinta verso l’indipendenza. E’ una sequenza che si ripete mentre l’allievo  passa da una tappa ad un’altra. L’allievo si fida del suo istruttore e dipende  da lui. L’istruttore usa questa fiducia per far avanzare l’allievo verso  mansioni più complesse e difficili durante il corso.
 La dipendenza, in questo senso, facilita  il processo di apprendimento finché l’istruttore può mantenere il giusto  equilibrio. La dipendenza se non è controllata interferirà con l’apprendimento.  L’istruttore deve capire cosa succede nella testa dell’allievo; per esempio,  deve saper  interpretare se l’allievo è  lento o disordinato nel portare a termine le richieste a causa della dipendenza  o per altri motivi.  L’allievo può diventare  così dipendente dal suo istruttore che non sa fare le cose senza di lui.  Potrebbe attraversare abbastanza bene una via quando l’istruttore è presente ma  non può fare così quando è solo. E’ possibile che la sua difficoltà sia causata  da un’ansia estrema ma è anche possibile che il problema reale sia la  dipendenza eccessiva dall’istruttore. Nell’uno o nell’altro caso, l’allievo non  può occuparsi realisticamente del problema. Se l’istruttore deve aiutare  l’allievo, deve sapere che la dipendenza eccessiva è un fattore molto  importante durante il corso di OM. Con tale conoscenza può aiutare l’allievo a  trovare un equilibrio fra dipendenza reale e non reale e facilitarne il  processo di addestramento.
 5) Imbarazzo, vergogna: altri sentimenti  importanti durante il corso di OMImbarazzo o vergogna sono altri  problemi che a volte interferiscono con il progresso di un allievo durante il  corso. È l’imbarazzo o vergogna  nei  confronti degli altri. La persona imbarazzata o timida ha reazioni sia sul  conoscere nuove cose sia sulla possibilità che altri possano guardarla e  giudicarla. Ritiene di essere al centro dell’attenzione altrui e si preoccupa  eccessivamente del pensiero degli altri perché potrebbe sembrare ai loro occhi  incompetente, ecc
 Le aspettative sociali sono spesso la causa di questo  imbarazzo e vergogna. Se la persona timida rovescia qualcosa mentre sta  mangiando, è sicura che gli altri avranno un’espressione o pensieri strani  riguardo a ciò. Se inciampa mentre cammina, è sicura che chiunque la stia osservando  presupponga che è impacciata o altro.   L’effetto di tale percezione è quello di essere inibiti nel proprio  comportamento. Si eviteranno le attività che potrebbero attirare l’attenzione  degli altri. In molte situazioni, ci si priva della libertà di comportamento e  per fare una determinata cosa la si complica per sembrare più adeguati.  Questi  sentimenti interessano e influiscono nella vita delle persone. L’istruttore in  questi casi può rassicurare la persona che nessuno ha focalizzato la sua  attenzione su di essa e può tranquillamente fare le cose tranquillità. Anche  per l’esatto contrario può trovare parole e modi per far sì che questi  sentimenti non prendano il sopravvento e limitino nel fare. Per le persone non  vedenti, non avere un riscontro reale di ciò che gli altri stanno facendo è un  problema che devono superare con l’aiuto delle persone di cui si fidano.  Un fattore che alimenta il problema è  l’immagine negativa in merito alla disabilità visiva che ha molta gente. Lo  stereotipo comune di una persona non vedente è ancora quello di un individuo  indifeso e dipendente. E’ difficile che la gente pensi che chi porta occhiali  scuri e bastone bianco goda anche di benessere. Le persone con disabilità  visiva che hanno interiorizzato questa immagine della cecità, quasi sicuramente  si identificheranno in questo stereotipo. Sono sicuri che chiunque li veda,  penseranno a lui in questo modo. Questo fattore è da tenere in considerazione  quando si fa un corso di OM. Le persone stanno imparando nuove tecniche per la  deambulazione e devono fare questo addestramento in pubblico. All’inizio i  movimenti sono impacciati perché non si è ancora pratici con l’uso del bastone  e di questo c’è consapevolezza. In più, usando il bastone bianco, si rende  immediatamente visibile alla gente la propria disabilità e si attira la loro  attenzione.  Il corso viene fatto alla  luce del sole non in segretezza e non si può nascondere la propria condizione.  Questo fattore può essere dominante e interessare il lavoro durante la lezione.  I movimenti possono essere impacciati e scoordinati. La persona può essere  talmente presa dal pensiero di essere osservata che non può concentrarsi sulla  tecnica adeguata del bastone. In più non riesce a prestare attenzione alle  indicazioni acustiche e tattili  richieste per muoversi in sicurezza.   Un allievo ha descritto il suo sentimento in  questo senso: “Sono così imbarazzato che quando faccio un errore vado in tilt.  Non ricordo di ascoltare e prestare attenzione ai messaggi del bastone, perdo  l’attenzione e la concentrazione.”
 Per molte persone questo sentimento ha  impedito loro di iniziare un corso di mobilità. Ad altre questo sentimento è  andato affievolendosi durante il corso. Hanno cominciato a fidarsi di se  stessi, a padroneggiare le tecniche e a tenere sotto controllo la loro  timidezza o imbarazzo.  Per un istruttore  di mobilità è possibile aiutare le persone a sormontare il loro imbarazzo  iniziale discutendone e precisando che questo atteggiamento influisce sulle  loro prestazioni. Può anche sottolineare come l’imbarazzo iniziale sparirà  diventando via via sempre più abili e conquistando più indipendenza. Quando  tuttavia il problema dovesse essere insormontabile sarebbe utile consigliare  alla persona di rivolgersi ad un professionista che lo aiuti in tal senso,  proprio perché se il problema persiste significa che non può essere trattato  facilmente solo dall’istruttore di OM.   La consultazione fra l’istruttore di OM e le altre figure professionali  può avvantaggiare l’allievo. Può accelerare il processo terapeutico e di  conseguenza i processi di addestramento. Quando ciò avviene è essenziale che  l’allievo sia informato e dia il suo permesso. Anche se l’obiettivo  dell’istruttore e del terapista è il benessere dell’allievo, esso ha il diritto  di sapere cosa succede intorno a sé. Se scoprisse che si sta facendo qualcosa  per lui senza esserne informato, può venir meno la fiducia sia nell’istruttore  che nel terapista e la fiducia è un elemento essenziale sia nella terapia sia  nel corso di OM.  L’imbarazzo e la timidezza  sono collegate con l’immagine di sé. Se l’autostima è bassa, l’individuo  penserà che anche gli altri lo vedano così. E’ proprio quando aumenta  l’autostima che nelle persone diminuisce l’imbarazzo e  la timidezza. Anche la riduzione di ansia può  far diminuire questi sentimenti.  Quando  l’allievo comincia il corso di OM può avvertire in maniera molto forte questi  sentimenti ma quando le sue abilità di mobilità migliorano si sentirà più  sicuro e tranquillo. Anche se imbarazzo e timidezza saranno comunque presenti,  non saranno così importanti quanto la voglia di conquista di indipendenza.  L’istruttore può aiutare l’allievo in questo processo dando enfasi agli effetti  positivi che le nuove conquiste hanno su di lui: con il bastone cammina meglio;  ha un portamento più sicuro, ecc. L’istruttore aiuta e pone attenzione al  momento opportuno. A volte basta dire al proprio allievo: “non sembri più così  nervoso come agli inizi del corso. Sono sicuro che anche gli altri noteranno  questo.” Le osservazioni devono comunque essere fatte nei tempi giusti e  dovrebbero essere usate prudentemente. Se l’allievo si ritiene ancora  impacciato non accetterà una osservazione che contraddice la sua percezione. In  più, le osservazioni devono essere oneste. Se l’allievo non esegue bene una  certa funzione, l’enfasi dovrà essere posta su qualcosa di consolidato o che si  sta consolidando. E’ nei tempi giusti che le gratificazioni danno sempre il  loro effetto positivo.
 6) - "Resistenza" al corso di  OM
 Un problema di cui l’istruttore deve  tener conto è la "resistenza" (renitenza) da parte dell’allievo al  corso di OM.  Non tutte le persone che  perdono la vista sono desiderose di imparare a muoversi autonomamente. Anche  chi si iscrive ad un corso di formazione, cominciato l’addestramento, non è  necessariamente esente dal problema.   Molte persone fanno resistenza sull’uso del bastone per la mobilità o  sulle tecniche di addestramento. Molti annullano gli appuntamenti, trovano  giustificazioni per il loro ritardo o addirittura annullano il corso. Queste  forme di resistenza sono facili da identificare. Le persone lo dichiarano  apertamente: ho cambiato idea in merito al corso e non desidero  proseguire.  La resistenza può anche  prendere forma di "ribellione/riluttanza" durante il corso. L’allievo  discute con l’istruttore su ciò che deve fare, cosa può fare o come fare. A  volte disobbedisce deliberatamente alle consegne o rifiuta di effettuare una  certa operazione che l’istruttore gli ha insegnato.  Certe forme di resistenza non sono facili da  individuare. L’allievo sembra fare e dire cose giuste. Si iscrive al corso ed è  puntuale agli appuntamenti, ma il suo comportamento non corrisponde ai suoi  obiettivi dichiarati. Oppure, manca agli appuntamenti ma non dà una  giustificazione soddisfacente. Fa errori che non dovrebbe fare in una fase  particolare dell’addestramento. Questi comportamenti possono mascherare  riluttanza verso il corso. Un altro allievo può essere passivo, comprende male  le istruzioni o si disorienta in percorsi che dovrebbe conoscere bene. Se  l’istruttore desidera concordare un orario al pomeriggio, egli è libero solo la  mattina; se l’istruttore concorda per la mattina alle dieci, egli dice che è  meglio alle undici.
 Alcune forme di resistenza sono spesso  difficili da identificare con certezza. Le giustificazioni sono spesso  legittime; la gente dimentica gli appuntamenti; i trasporti spesso effettuano  ritardi; è possibile disorientarsi anche in ambienti noti; è certamente  possibile capire male le indicazioni del proprio istruttore.  Spesso però queste cose accadono con tale  frequenza che l’istruttore comincia ad insospettirsi: un errore va bene, ma  tanti? annullare un appuntamento va bene, ma quasi ogni settimana?   Vari fattori possono contribuire alla resistenza  dell’allievo ad un corso di OM. L’allievo può avvertire ansia al pensiero di  dover iniziare il corso che non riesce nemmeno a cominciarlo, o se inizia,  l’ansia è così forte che subentra la resistenza. In questo caso la mobilità  indipendente non può essere il suo obiettivo. Può iscriversi a causa di  pressioni da parte dei familiari; può essere motivato ad imparare a muoversi  autonomamente ma la famiglia non gradisce che usi il bastone bianco e non  vedono di buon occhio il corso. La famiglia può fare pressione sul fatto che  non ha bisogno di un corso di mobilità per imparare a diventare indipendente,  può fare da sé o con loro. Subentra in questi casi il conflitto fra i propri  bisogni e quelli della famiglia. Un ulteriore motivo di resistenza può essere  il desiderio della persona di non perdere la dipendenza dai propri familiari, o  può essere così imbarazzato e timido da evitare il corso che lo costringerà  alla vita pubblica. L’immagine di sé con un bastone bianco può essergli così  difficile da digerire che si sente svalutato ogni volta che deve usarlo. Le  cause della resistenza vanno scoperte e si deve dedicare del tempo per cercare  di superarle. Non è sufficiente stabilire che la persona è resistente al corso  e quindi consigliare di fermarsi. Non ci si può nemmeno limitare a dare la semplice  informazione senza che egli stesso ne abbia preso piena coscienza e di  conseguenza cercare di controllare i suoi comportamenti. Quando è l’ansia la  causa di resistenza agli inizi di un corso, l’istruttore può aiutare l’allievo  con uno o due incontri di discussione. Può spiegare lo scopo e la dinamica di  un corso e tranquillizzare l’allievo. L’allievo avrà occasione di fare domande  ed esprimere le sue preoccupazioni, desideri, preferenze. La stessa tecnica può  essere applicata per altri problemi che portano alla resistenza. Se questi  incontri non sono d’aiuto può, anche in questo caso, essere utile consigliare  all’allievo un terapista. Il tutto deve essere trattato nei momenti giusti e in  base al rapporto stabilitosi durante il corso. L’interferenza della famiglia  può richiedere un intervento a nome dell’allievo. L’allievo può essere in  difficoltà nell’affrontare certi argomenti con la famiglia e l’istruttore può  essergli d’aiuto. A volte questo aiuto migliora il rapporto sempre se fatto con  discrezione, professionalità e soprattutto al momento opportuno.
 Non è certo possibile risolvere tutti i  casi di resistenza, ma in molti casi l’attenzione particolare dell’istruttore  porta a sensibili miglioramenti.
 7) - Atteggiamenti e concetto di sé  che interessano le persone con disabilità visiva
 La persona cieca o ipovedente grave  congenita ha esperienza del mondo che la circonda data dalle informazioni  ottenute tramite gli altri sensi o su un residuo visivo molto compromesso. Se  ha un residuo visivo considerevole che col tempo viene a ridursi, è costretta a  procedere ad un nuovo metodo di registrazione dei messaggi e di conoscenza. La  visione, benché limitata, era parte integrante delle sue capacità. Questa  persona reagirà alla perdita o riduzione di quel residuo visivo come una  persona vedente che perde all’improvviso la vista. Un bambino cieco congenito  non sa cosa significhi perdere la vista, perché per lui non vi è alcuna  perdita, è semplicemente la sua condizione iniziale. Se la famiglia predisporrà  per lui un ambiente adeguato dove poter fare esperienze, lo aiuterà e  solleciterà nella conquista di indipendenza, quel bambino svilupperà un buon  concetto di sé. Saprà cosa può fare e non può fare. Le sue aspettative e quelle  degli altri saranno realistiche. Non tenterà invano cose che vanno oltre le  proprie abilità del momento, né si riterrà adeguato per certi compiti in cui  avrà bisogno di coloro che vedono.
 Il genitore che fa richieste eccessive al  proprio bambino, promuove in lui un sentimento di inferiorità. Poiché egli non  può rispondere adeguatamente alle richieste, col tempo sviluppa un concetto di  sé negativo, di inadeguatezza. Questo atteggiamento si riscontra spesso in un  corso di OM. La persona, proprio perché spesso ha fallito, pensa di continuare  a fallire e inconsapevolmente avrà aspettative basse. Se le prestazioni  migliorano, anche il concetto di sé deve migliorare. Lo sforzo considerevole  che si chiede all’allievo è di realizzare questo obiettivo. L’istruttore deve  in primo luogo determinare i prerequisiti di base e la capacità psico-fisica di  acquisire competenze adatte in quel determinato momento. Una volta stabiliti  questi requisiti, l’istruttore deve portare lentamente ma con determinazione  l’allievo ad un nuovo concetto di sé durante il processo di addestramento. Deve  tenerne conto in ogni fase dell’addestramento e procedere per gradi. Ogni  errore influisce sull’autostima e la abbassa; ogni successo, anche se piccolo,  aggiunge all’immagine di sé competenza e successo. E’ importante rassicurare  l’allievo e fargli capire cosa si sta progettando per lui. In questo modo,  durante il corso, passi in avanti e autostima avverranno simultaneamente.  Alcune persone cieche congenite hanno il problema opposto. Hanno un concetto di  sé molto alto ma non realistico. I genitori di questi bambini hanno aspettative  estremamente basse. Si complimentano con loro per delle prestazioni che non  eseguono in maniera idonea e sufficiente. Li elogiano se all’età di dieci anni  usano la forchetta al posto delle mani mentre questa abilità dovrebbero averla  acquisita già da molto tempo. Altri elogi quando imparano a legare le scarpe a  quattordici anni, quando altri è da quando erano in prima elementare che lo  fanno. Il fattore critico per questi bambini è che non vedendo gli altri, non  si possono confrontare con ciò che altri loro coetanei fanno. Ovviamente non si  vuol condannare questi genitori per ciò che fanno. Molto probabilmente non  conoscono che cosa una persona senza la vista è in grado di fare. Resta il  fatto che danno al loro bambino un metro non realistico per giudicarsi. Essi  possono pensare di far bene quando in effetti le loro prestazioni sono al  minimo. L’istruttore non può aiutare questi bambini imitando il modello  determinato dai genitori. L’allievo deve avere un metro di auto-valutazione  realistico e specifico alle doti e attitudini particolari di ogni persona. Le  aspettative si devo assestare sulla normalità, dove per normalità si intende  cosa generalmente la maggior parte delle persone non vedenti è in grado di  fare. Questi bambini hanno bisogno di rinforzi positivi per ciò che fanno, ma i  rinforzi devono sempre essere realistici. Non si deve dire all’allievo che ha  fatto bene quando ha fatto le cose in modo approssimativo. Allo stesso modo  l’approvazione da parte dell’istruttore ci deve essere quando c’è un reale  progresso, non quando il miglioramento è minimo; per esempio: “hai migliorato  dall’ultima volta, ma so che puoi migliorare ancora…”. Il processo di mettere  in contatto l’allievo con la realtà deve essere graduale. Sarebbe difficile, se  non impossibile, cambiare in pochi mesi un modello consolidato durante diciotto  o venti anni. Dire ad una persona che il concetto di sé non è reale sarebbe  brutale e disastroso. Compito dell’istruttore è di lavorare lezione dopo lezione  per portare l’allievo a un concetto di sé più vicino alla realtà mentre nello  stesso tempo lo aiuta a portare le sue prestazioni su livelli più impegnativi e  adatti.
 Motivazione  all'indipendenza Le persone con disabilità visiva  congenita desiderano le stesse cose che la maggior parte della gente desidera.  In primo luogo vogliono diventare indipendenti. Desiderano essere riconosciuti  ed avere rapporti sociali. Aspirano e lavorano per questi obiettivi.  Ci sono però persone che, pur desiderando le  stesse cose e avendo gli stessi obiettivi, non sanno lavorare per raggiungerli.  Sono limitati nelle esperienze e nelle conoscenze. Sono stati controllati dai  genitori/parenti che hanno diretto per loro le attività verso obiettivi  specifici, senza fornire gli strumenti adatti per il raggiungimento degli  stessi in autonomia. Alcune di queste persone hanno soltanto bisogno di  qualcuno che gli indichi la strada da seguire. Altri, hanno comportamenti che  sembrano contraddire i loro desideri. Bisogna capire se l’ambiente in cui sono  cresciuti era circoscritto e temono tutto ciò che è diverso. In casi del  genere, l’istruttore deve lavorare prudentemente per espandere l’ambiente  conosciuto; in casi estremi certe privazioni possono resistere al trattamento.  Tuttavia è sempre utile sapere le esperienze pregresse per usarle come base del  proprio lavoro. Se si espande con gradualità e attenzione il raggio d’azione di  una persona, la sua ansia diminuirà.  La  motivazione gioca sicuramente un ruolo importantissimo per la conquista di  indipendenza. Una spiegazione possibile per la mancanza apparente di  motivazione la si può ricondurre nell’interazione familiare. La famiglia può  promuove il comportamento dipendente a tal punto, che la persona non ha alcun  desiderio o motivo per essere indipendente. Perché dovrebbe cimentarsi in  compiti ardui e difficili per imparare a spostarsi da solo quando la famiglia  soddisfa tutte le sue esigenze di spostamento? Infatti, alcuni allievi chiedono  un corso di OM perché i loro amici lo stanno facendo o lo hanno fatto, ma è  sostanzialmente appagato da ciò che ottiene dalla sua famiglia. Dove una tale  interazione esiste, è difficile far scaturire la motivazione nell’allievo verso  l’indipendenza. Spesso la pressione da parte degli amici o di uno terapeuta di  fiducia può essere efficace. Il percorso è lento e tortuoso e l’istruttore deve  decidere se tale sforzo è utile quando alla base non ci sono elementi solidi,  continui e condivisi su cui gettare le fondamenta necessarie per progredire.
 8) - Domande all’allievoL’istruttore può fare molte  domande al suo allievo prima che inizi il corso e durante il corso.
 Può desiderare di sapere se  l’allievo compie dei percorsi in autonomia e in caso affermativo, come.
 Può voler sapere se c’è qualcosa  di particolare che lo irrita o come la sua famiglia si interessa in merito alle  sue abilità. Queste sono domande di routine che l’istruttore rivolge per avere  uno strumento di valutazione e conoscenza dell’allievo e poter fare una  programmazione mirata del lavoro. Le informazioni raccolte prima e durante gli  incontri servono all’istruttore per valutare i comportamenti o le prestazioni  del suo allievo.
 Ma può l’istruttore fidarsi completamente  delle risposte verbali del suo allievo? Può credere alle cose che egli dice  circa le sue abilità, il suo carattere o la sua famiglia? Spesso c’è  discrepanza fra le risposte verbali degli allievi e le osservazioni  dell’istruttore. L’allievo dice che si muove abbastanza bene  nel suo ambiente, ma l’istruttore osserva che  cammina lentamente, con una postura scorretta, che spesso si muove per  tentativi ed errori senza farne tesoro le volte successive. Riesce a girare  attorno al suo isolato ma tiene costantemente un braccio in avanti. E’ chiaro  che è teso e ansioso. La sua famiglia desidera che impari a muoversi  autonomamente ma hanno il respiro affannoso se urta un oggetto e si affrettano  a spostarlo e guidarlo da un’altra parte.
 Nella maggior parte dei casi la  discrepanza è un aspetto delle differenti percezioni. L’allievo può confrontare  le sue prestazioni con ciò che era in grado di fare un settimana prima o tre  mesi prima; questo confronto lo porta a dire che sta facendo molto bene.  L’istruttore, per contro, nota che l’allievo, in termini di competenze di OM,  si disorienta, non cammina diritto ed è impaurito. L’allievo percepisce  l’influenza della sua famiglia secondo i suoi bisogni fisici e primari. Non può  permettersi di essere troppo critico nei loro confronti perché dipende da loro.  Altri criticano in modo esagerato la famiglia a causa della loro condizione,  quasi incolpandoli di questo; altri ancora pensano che solo la loro famiglia li  proteggerà. Inoltre, gli sforzi che fanno le persone per la conquista di  indipendenza, spesso contribuiscono alla distorsione delle percezioni. Le  persone che hanno perso la vista da poco tempo solitamente vivono con una forte  pressione; stanno cercando di riconquistare ciò che la perdita della vista ha  loro tolto, e gli sforzi sono considerevoli. L’autostima che si abbassa può  provocare una descrizione esagerata delle proprie abilità. Poiché ci si  svaluta, si tenta di descrivere qualche cosa che ci faccia sembrare agli altri  una persona migliore. Quindi le risposte degli allievi sono determinate da più  fattori. Le discrepanze fra l’auto-valutazione dell’allievo e le sue abilità  reali hanno valore per l’istruttore perché interessano il progresso che  l’allievo fa durante il corso.
 A volte le domande rivolte all’allievo  sembrano essenziali, ma spesso si conclude che quelle in sospeso daranno  risposte migliori. Ovviamente una domanda che richiede soltanto “sì, o no” come  risposta, limita la quantità di informazioni ricevute. Altre possono essere  formulate in maniera approssimativa e dar adito a interpretazioni diverse: per  esempio, “lei si sposta da solo?” può sembrare una domanda formulata in modo da  avere una risposta precisa. La risposta può essere: “sì”. Ma che significato ha  quel sì? Dove si sposta da solo?: vicino alla propria abitazione, intorno al  suo isolato o oltre, ecc.; e soprattutto come si muove?: gira intorno al  proprio isolato ma si perde o disorienta frequentemente, spesso occupa la  carreggiata senza accorgersene, ecc.; o ancora, per quanto tempo e in quanto  tempo?: per cinque minuti, ecc.
 Domande come: “mi dica dove di solito  effettua i suoi spostamenti in autonomia…”, “che genere di problemi ha quando  viaggia da solo o con qualcuno?”, ecc., ottengono risposte con informazioni più  utili; quindi, l'istruttore deve sapere anche come porre le domande. Per  esempio, se l’istruttore chiede: “la sua famiglia è iperprotettiva?”, l’allievo  per difendere la sua famiglia può rispondere con un semplice “no”. Ma se  l’istruttore chiede: “che genere di aiuto avete dalla vostra famiglia….”  potrebbe trarre dalla risposta maggiori e più reali informazioni.
 Quando l’istruttore interroga l’allievo  deve sapere che è una parte integrante del corso di OM. Confrontare le  informazioni con le proprie osservazioni servirà per valutare i bisogni e i  progressi di ogni allievo. Se le domande sono trascurate, l’istruttore non  potrà insegnare al suo allievo al meglio, poiché difetta delle informazioni  necessarie per strutturare una programmazione individualizzata. Se effettuerà  correttamente questa fase preliminare, aumenterà la sua conoscenza e la sua  efficacia di istruttore.
 9) - Ansia dell'istruttore Anche se stati di ansia eccessiva  non sono cosa comune, possono accadere. L’istruttore può avvertire una certa  ansia quando fa la lezione con un allievo. La sua ansia non può essere quanto  quella dell’allievo, ma può interessare il corso e i risultati.
 L’ansia può provenire da varie cause. L’istruttore può non  aver fiducia nelle proprie capacità; può derivare da preoccupazione che  l’allievo cadrà o si ferirà a causa della propria disattenzione o mancanza di  abilità. L’ansia diventa così una componente dell’incapacità dell’istruttore di  controllare le prestazioni dell’allievo o le circostanze di una lezione.
 Una certa ansia da parte  dell’istruttore può essere favorevole. Se si è un po’ apprensivi, non si  chiederà all’allievo di tentare un’operazione per cui non è preparato. Prima di  assegnargli un compito si considererà la possibilità di potersi ferire o di  mettersi in situazioni pericolose. Questa forma di ansia limitata  è a beneficio dell’allievo e non impedisce il  suo progredire, ma piuttosto lo fa avanzare in modo “giudizioso”.
 Quando l’ansia dell’istruttore  eccede i limiti ragionevoli, interferisce solitamente con il progredire  dell’allievo. Si mette un freno all’allievo e non gli si permette di affrontare  determinate situazioni. L’istruttore diventa iperprotettivo verso l’allievo e  non gli offre occasioni di conoscere, fare e sperimentare da sé. Al contrario  può reagire a questa sua ansia chiedendo al proprio allievo prestazioni  eccessive. Propone obiettivi elevati e spinge l’allievo oltre i limiti.
 Fortunatamente questa ansia  estrema è rara, ma quando essa dovesse comparire è bene fermarsi un po’ e  cercarne le cause, altrimenti si rischia di non sortire alcun effetto o  addirittura recare danno all’allievo.
 Spesso questa ansia estrema è da  ricondurre all’esperienza fatta dall’istruttore durante il proprio  addestramento. L’ansia che ha sperimentato da bendato può aiutarlo a capire la  sensibilità dei suoi allievi ma può anche stimolare un sentimento  iperprotettivo. Un istruttore non è coscienzioso perché osserva, insegna o  aiuta i suoi allievi; egli può interferire negativamente perché offre loro un  sostegno maggiore di quello di cui hanno realmente bisogno. Con il suo operare  trasmette ansia agli allievi e stimola ancor più la loro. Una persona mi ha  informato che il suo istruttore, lo ha bombardato di informazioni relative ai  vari pericoli da renderlo nervoso. Alcune prestazioni degli allievi possono  stimolare l’ansia dell’istruttore, ma per contro, l’allievo ha preso l’ansia  dell’istruttore ed è diventato più nervoso. Di questo gli istruttori devono  essere consapevoli. Hanno la possibilità di discuterne con altri istruttori o,  se necessario, con un terapista che può minimizzare questo effetto. Può  ulteriormente trarre beneficio dall’esperienza e prendere maggiore coscienza  sulla propria ansia e quella dei suoi allievi. Acquistare maggior sensibilità  verso i sentimenti dei propri allievi, rende gli istruttori e il loro lavoro  migliori.
 10) - Irritabilità verso l'allievo Quasi ogni istruttore  ha avvertito una certa irritabilità durante  il suo lavoro con gli allievi. Irritabilità o antipatia possono essere soltanto  avvertiti in un’occasione particolare, ma possono anche prolungarsi durante  tutto il corso.
 L’istruttore che prova “antipatia” verso  il suo allievo è anche impaziente e poco sensibile nei suoi confronti. Assegna  ad esso compiti difficili o fornisce poche spiegazioni durante le lezioni senza  dare importanza alle cause che provocano certi comportamenti. L’allievo può  fare errori senza ricevere critiche costruttive. Anzi, le critiche spesso sono  ingiustificate o, se valide, sono espresse senza troppo riguardo verso la  sensibilità dell’allievo.
 L’istruttore può provare antipatia per  svariati motivi. Può provare questo sentimento a causa della propria ansia e  usarla come difesa. Spesso questa antipatia viene tramutata in rabbia o  irritabilità perché è un sentimento molto più accettabile dell’ansia. Può anche  provenire da una certa debolezza, per esempio, se l’istruttore non si ritiene  all’altezza di controllare il comportamento di un allievo o le circostanze  della lezione. Il comportamento stesso dell’allievo può irritare l’istruttore;  desidera aiutarlo ma l’allievo persiste nel non collaborare e il suo  comportamento non porta a nessun cambiamento. Un altro allievo può non fare  alcun progresso a causa delle sue limitazioni; l’istruttore prova di tutto ma i  miglioramenti non si vedono. In questi casi l’istruttore si sente frustrato e  questo sentimento viene espresso con irritabilità o antipatia verso l’allievo  che non sta facendo progressi.
 E’ facile immaginare che quando ciò  accade, il risultato interesserà tutto il processo di istruzione. Se l’allievo  prende coscienza dell’irritabilità del suo istruttore  reagirà con maggior resistenza. Se avverte  ansia nel suo istruttore, la sua ansia aumenterà. Non conosce e non capisce i  sentimenti del suo istruttore e di conseguenza sarà confuso e le sue  prestazioni andranno deteriorandosi.
 Invece di reagire in una situazione  difficile, l’istruttore dovrebbe capire la causa e controllare i propri  sentimenti. Mentre cerca di capire può sicuramente migliorare le sue reazioni.  Con questa conoscenza, può anche fare dei passi indietro, cosciente di poter  maneggiare solo alcuni problemi durante un corso di OM e chiedere aiuto per  altri a istruttori più competenti ed esperti.
 11) - Soddisfazione dell'istruttore La soddisfazione dell’istruttore  di mobilità è un elemento importante durante il corso di OM.
 Si impegna nel proprio lavoro,  contribuisce a sviluppare un buon rapporto con l’allievo e gioca un ruolo  importante nel progresso del suo allievo.
 La soddisfazione personale proviene da  varie fonti. Sapere che si sta contribuendo al benessere di un’altra persona  aiuta l’istruttore a considerarsi “un valido professionista”, è consapevole che  sta operando nel migliore dei modi e la   sua soddisfazione è alimentata dal fatto che l’allievo sta facendo  progressi.
 L’istruttore deve comunque saper  controllare la situazione in base alle caratteristiche di ogni suo allievo. E’  soddisfacente lavorare con un allievo che risponde bene, fa progressi, si fida,  ecc.; è certamente meno soddisfacente lavorare con un allievo che non fa  progressi, che ha problemi aggiuntivi, che ribatte ad ogni insegnamento o che discute  su ogni parola. Con alcuni allievi il lavoro può diventare ripetitivo e noioso.  Di conseguenza non si osserva dovutamente l’allievo e può capitare che gli  unici allievi che trarranno beneficio dal suo insegnamento siano quelli che  egli ritiene compatibili con la sua personalità.
 La soddisfazione personale  dell’istruttore, come già detto, proviene comunemente dal progresso  dell’allievo. E’ gratificante vedere lo sviluppo particolare del proprio  allievo e sapere di aver contribuito ai suoi progressi.  Spesso   il proprio allievo è relativamente indipendente quando inizia il corso,  perché supportato dalla famiglia nella maggior parte delle sue esigenze.  L’istruttore allora tenta gradualmente di far apprendere mansioni sempre più  complesse, persuade il suo allievo con lusinghe e lo spinge a nuove iniziative.  L’istruttore sa che è improbabile che il suo allievo potrà ugualmente riuscire  a fare questi progressi senza l’aiuto di un professionista e con le conoscenze  particolare di un istruttore di OM. Questo atteggiamento può essere pericoloso  se non si insegna con imparzialità, con equità, a qualsiasi persona.  L’istruttore deve controllare sentimenti e situazioni che possono minare i  rapporti o recare danno ai propri allievi.
 E’ importante essere informati di questo  sentimento di “soddisfazione” non per se stessi, ma a causa dell’effetto che  avrà sull’allievo. Le parole e il tono di voce dell’istruttore trasmettono i  propri sentimenti verso l’allievo. L’allievo, a sua volta, risponderà a queste  sensibilità e alla percezione che ne avrà.
 Se  l’allievo è consapevole che il suo istruttore è soddisfatto e compiaciuto del  suo comportamento, sarà più rilassato durante le lezioni e più fiducioso verso  di lui.
 Migliorare la comunicazione nel rapporto  allievo-istruttore porterà  beneficio;  l’allievo sarà più disteso e libero di fare domande ed esprimere i propri  sentimenti e osservazioni.
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