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9. DINAMICHE PSICOLOGICHE NEL CORSO DI

Orientamento e Mobilità

Estratti dal libro di: Paul J. Schulz (libera traduzione: V.Z.)

Prefazione
Si desidera fornire degli spunti di riflessione sui sentimenti (sensibilità ed emozioni) quali parte integrante in un corso di OM. L’allievo reagisce al corso anche in base alla percezione che ha del suo istruttore. L’istruttore reagisce alla percezione dell’allievo e dei progressi che si realizzano. Alcune di queste reazioni sono facilmente osservabili, mentre altre interessano l’apprendimento in senso più sottile. Tuttavia, nell’uno e nell’altro caso fanno la loro parte, più o meno incisiva, a seconda che entrambe le parti (istruttore-allievo) siano consapevoli di ciò che sta avvenendo.
La consapevolezza dell’istruttore che le emozioni sono una parte integrante nell’insegnamento e nell’apprendimento, può essere usata a favore dell’allievo. Se l’istruttore capisce le funzioni del processo docente-discente, ha uno strumento per meglio controllare e dirigere qualunque cosa si verifichi durante il corso. Ha l’opportunità di capire il suo allievo e capire cosa possa interferire con la sua capacità di imparare. La sensibilità dell’istruttore può facilitare il processo di addestramento in un corso di OM. In pratica, l’istruttore può usare ciò che conosce delle funzioni del processo di addestramento di OM come attrezzo supplementare nell’assistere il suo allievo durante l’apprendimento. Con maggiore conoscenza dei fattori che interessano il lavoro di un istruttore di OM  con il suo l’allievo, potrà far fruttare al meglio il proprio intervento.

1) - Un obiettivo importante durante il corso di OM
Una delle abilità più importanti per una persona con disabilità visiva è conquistare la capacità di muoversi con relativa indipendenza. E’ un’abilità importante, perché lo libera dalla necessità di dipendere dalla famiglia e dagli amici ogni volta che desidera spostarsi. La libertà dalla dipendenza che guadagna interessa il concetto di sé e degli altri. Poiché questa abilità è importante, è essenziale considerare ogni elemento del processo di addestramento. Non è sufficiente considerare un corso di OM come trasmissione di conoscenze.  E’ importante conoscere che cosa accade a livello emotivo e di sensibilità durante questo processo.  L’istruttore di OM ha sentimenti e atteggiamenti che potrebbero influenzare l’allievo con cui sta operando. L’allievo ha i propri sentimenti e sensibilità in merito a ciò che sta imparando, sulle richieste che gli vengono fatte e soprattutto verso l’istruttore. Per alcuni versi, questi sentimenti e atteggiamenti interesseranno e influiranno sui risultati. Avranno questo effetto se l’allievo e l’istruttore non sono informati su cosa pensano e provano durante il corso. Se l’istruttore è ignaro della sensibilità e degli atteggiamenti che sono parte integrante del processo di apprendimento, perde un’occasione per usarli a vantaggio dell’allievo. Se questi processi sono maneggiati con consapevolezza si sarà in possesso di uno strumento che aiuterà a controllare e facilitare il progresso degli allievi. Di conseguenza si sarà istruttori più efficaci. Istruttore e allievo, trarranno beneficio dall’esperienza.

2) - Rapporto tra istruttore e allievo
Il rapporto istruttore-allievo è un elemento importante durante il corso di mobilità.
L’istruttore insegna ciò che ritiene utile per quel particolare allievo e l’allievo non impara come se stesse ricevendo informazioni da una macchina. Ciascuno ha la propria sensibilità verso l’altro. Se questa sensibilità è positiva l’apprendimento sarà facilitato, se è negativa interferirà. L’istruttore che gradisce un allievo sarà più interessato nel suo progresso durante le lezioni. Per contro, l’istruttore che ha antipatia per un allievo può tranquillamente insegnare con competenza ma gli costerà uno sforzo più grande.  Il rapporto può essere ulteriormente complicato dal grado di consapevolezza delle parti sui propri sentimenti. L’istruttore non può far trasparire l’antipatia verso il suo allievo ma se percepisce tale antipatia nel suo allievo può trovare difficile instaurare un buon rapporto verso di lui. Se l’allievo percepisce freddezza da parte del suo istruttore potrà aver difficoltà nel fidarsi dei suoi giudizi. Quando l’istruttore percepisce positività nei suoi confronti da parte dell’allievo, troverà più facile il lavoro e lo stesso sarà più efficace. Se l’allievo sa di essere gradito dal suo istruttore, troverà più facile il lavoro, accetterà anche le critiche costruttive e sarà più facile comunicare le proprie idee in una tale situazione.
Transfert e contro-transfert
I sentimenti di una persona verso un’altra, in una relazione, non hanno spesso niente a che fare con le parti in causa. L'allievo può avere sentimenti positivi o negativi verso il suo istruttore perché in questa situazione gli ricorda  un'altra persona. Trasferisce questi sentimenti alla nuova  persona con cui si trova. Tecnicamente questo è denominato transfert.  I sentimenti possono essere positivi o negativi, ma provengono da altre  fonti, non dalla situazione immediata. Naturalmente, clinicamente il processo è più complicato, ma anche durante il corso di OM possono essere presenti alcuni di questi elementi. Per esempio, l'allievo può avere un rapporto sgradevole con una figura (magari autoritaria) del quale si è risentito. Se l'istruttore di mobilità gli ricorda questa persona, trasferisce questo rancore all'istruttore o, se il rapporto con la figura precedente era  positivo, trasferisce questi sentimenti positivi all'istruttore e il rapporto funziona bene. Simili sentimenti dell’istruttore verso il suo allievo possono essere chiamati contro-transfert e,  come nel caso dell’allievo, provengono da una  rapporto precedente piuttosto che dalla situazione immediata.  Varie situazioni durante il corso  promuovono il transfert e il contro transfert. Le lezioni sono frequenti e il tempo speso insieme  è relativamente lungo. L’istruttore è, in un senso, una figura di autorità perché è informato, mentre l’allievo sta imparando. La figura di autorità è soltanto una base per lo stimolo di transfert e di contro-transfert. I sentimenti delle due parti in gioco sono implicati nel processo di addestramento a causa dello sforzo alimentato tramite il processo stesso. 
L’allievo può non essere consapevole dei motivi per gradire o meno l’istruttore. Tuttavia, l’istruttore, come esperto, dovrebbe essere informato che i sentimenti presenti nel rapporto possono provenire da fonti indipendenti dalle persone implicate nel rapporto imminente. Spesso, essere informato che le reazioni negative percepite nell’allievo possono essere il risultato del processo di transfert può aiutare a trattare più obiettivamente con esso. Sapere perché c’è una certa reazione può aiutare l’istruttore a controllare meglio il suo allievo. Potrà lavorare bene come con altri allievi e potrà diminuire gli effetti di questi meccanismi incontrandolo, se opportuno, meno di frequente o riducendo la lunghezza di ogni lezione.
Distanza professionale
Questo concetto può essere definito come atteggiamento messo in atto dall'istruttore per controllare l'interazione fra lui ed il suo allievo. Il controllo è essenziale se l'istruttore desidera assicurare il suo successo nell'addestramento di ogni allievo durante il corso. L'istruttore deve controllare non solo le funzioni tecniche della comunicazione e della conoscenza, ma deve controllare ogni elemento che può facilitare o interferire con il processo di istruzione. Anche il rapporto e l'interazione personale fra l'istruttore e l'allievo è uno di questi  elementi.
Un esempio è quello di una giovane donna  che si è infatuata del suo istruttore. Ogni volta che l’istruttore ha parlato della sua fidanzata, lei diventava gelosa e si arrabbiava. Lo ha dichiarato anche lei. Piccole attenzioni nei suoi confronti la appagavano, altre volte invece annullava le lezioni senza alcun buon motivo o si comportava in modo ambiguo durante le lezioni. L’impressione dell’istruttore era di non saper comprendere il motivo reale del suo comportamento. Un altro caso è di un allievo che era piuttosto apatico e svogliato durante le lezioni perché, semplicemente, pensava al suo istruttore come a un buon amico. O le aspettative dell’istruttore non erano ad un certo livello a causa del rapporto instaurato, o l’allievo pensava che il suo istruttore non insistesse su un certo livello di prestazioni perché amici. Questo è un errore sciocco che può portare conseguenze negative sull’andamento del corso.  C’è una differenza fra essere amichevole con gli allievi e sviluppare un’amicizia che interferisce con il processo d’istruzione. Se il rapporto è troppo vicino, l’istruttore potrebbe non esigere dal suo allievo ciò che esige normalmente da altri. Potrebbe aver paura di danneggiare la sensibilità del suo allievo dicendogli che non sta facendo bene e l’allievo potrebbe essere lascivo durante le lezioni perché, normalmente, un buon amico trascura gli errori.
Certamente nessun istruttore farebbe questo deliberatamente o coscientemente, ma è una casualità non rara in una relazione d’aiuto. Non significa che l’istruttore deve avere un atteggiamento distaccato con il suo allievo o diventare autoritario. Significa semplicemente che deve controllare la relazione in modo che non ci siano elementi che interferiscano con la capacità di insegnare all’allievo. Un fattore che interessa il rapporto è il contatto che l’istruttore ha con il suo allievo oltre alle lezioni. Ci si può incontrare per pranzo o per un caffè; si può ricevere un invito a cena o la richiesta di un passaggio. Le possibilità di contatto nelle ore di non-lezione sono infinite. Ma qualunque esse siano potrebbero interferire con il controllo della relazione e il processo di insegnamento ne risentirebbe.  L’istruttore deve essere giudice di che cosa è essenziale nel processo di addestramento e di cosa può essere nocivo. Dovrebbe essere informato su ciò che spesso sembrano essere atti insignificanti o casuali che invece hanno un certo effetto nel rapporto. A volte può essere utile un confronto con altri istruttori o la presenza di un supervisore.

3) - L’ansia e l'allievo
L'ansia è indubbiamente l'emozione dominante presente durante il corso di OM.
Altri sentimenti quali il sottovalutarsi o la depressione possono essere presenti ma provengono solitamente dalla causa della cecità non dal processo di addestramento. Le persone con disabilità visiva possono essere depresse perché devono dipendere da altri; ma certi sentimenti sono stimolati dagli eventi, sono una conseguenza della disabilità. L’ansia durante il corso di OM è solitamente  dovuta all’esperienza di apprendimento. Con poca o in assenza della vista, l’individuo deve muoversi in luoghi non ben conosciuti. Anche se i dintorni residenziali sono luoghi frequentati, hanno spesso poca familiarità o sono conosciuti in modo approssimativo: usando solo il residuo visivo o su indicazioni verbali di altre persone.  Non sono conosciuti con l’uso degli altri sensi o tramite l’uso del bastone bianco lungo.  Gli allievi stanno imparando nuove tecniche di mobilità e orientamento e il processo di acquisizione di queste abilità, proprio perché fonte di nuove esperienze, può generare ansia. Chi perde la vista deve confrontarsi con nuovi modi di ragionare perché non possono più contare sulla protezione che garantiva loro la vista e la paura di cadere o farsi del male è molto forte. E’ quindi comprensibile come svariate situazioni in un corso di OM generino ansia.
Prevedibilità dell'ansia
Non è possibile predire la presenza o l'assenza di ansia in una persona che sta intraprendendo un corso di OM. Anche l'intensità  varia da un individuo ad un altro. Una persona che è completamente cieca può avere poca o nessuna ansia mentre impara, o avere un’ansia tale da non essere in grado di muoversi autonomamente; questo anche per una persona con un residuo visivo considerevole. Altre persone con residuo minimo possono avvertire molta ansia ma possono mantenerla in limiti trattabili. Quindi, la presenza o l'assenza di ansia durante un corso di OM è un aspetto specifico. L'istruttore deve considerare esclusivamente ogni caso e valutarne gli effetti quando presente.
Manifestazioni di ansia
Un buon osservatore può determinare la presenza di ansia dalle indicazioni che sono note alla maggior parte di noi: sudorazione alle mani, respiro corto, tremolio della voce e degli arti. Ci sono altri sintomi di ansia che possono essere meno noti. La persona che sta tentando di fare qualcosa sotto ansia può essere disturbata nei propri ragionamenti. Può comprendere male le richieste verbali; le sue risposte verbali od operative possono essere confuse o inadeguate. Se l’ansia è forte, comprometterà le capacità di agire in sicurezza. La risposta locomotoria è influenzata dall’ansia e può far accelerare il passo, far compiere deviazioni di percorso o arresti improvvisi quando si dovrebbe continuare a camminare.  Lo stato d’ansia può essere o è la spiegazione per molte delle difficoltà incontrate dagli allievi. Non necessariamente sono riconducibili all’intelligenza perché l’ansia genera un “cortocircuito” nei processi del pensiero. Deviazioni di percorso non sono da ricondursi alla non capacità mentale di camminare in linea retta; è possibile che la tensione sia tale da non far prestare attenzione alle indicazioni uditive e cinestetiche disponibili.  Alcune persone hanno stati di ansia molto elevata in presenza di qualcosa che temono; in queste circostanze l’ansia blocca i processi razionali del pensiero e mette in serio pericolo le persone.  In sintesi, ci sono sintomi evidenti di ansia come la sudorazione eccessiva e la tensione muscolare.   I sintomi meno evidenti includono l’incapacità di afferrare semplici indicazioni o indizi utili all’orientamento che non possono, come detto in precedenza, ricondursi all’intelligenza o alla mancanza di esperienza dell’individuo.   Questi sintomi meno evidenti, proprio perché poco noti alla maggior parte degli osservatori, possono essere trascurati come spiegazione possibile per gli errori ripetuti da un allievo.
Se l’istruttore trascura l’ansia come possibile spiegazione per il comportamento specifico del suo allievo, non potrà intraprendere delle azioni correttive appropriate. Mancherà un’occasione per accelerare i progressi del suo allievo.
Alcune cause di ansia
L’ansia proviene da molte cause, ma senza un grado ragionevole di ansia le persone e l’organismo entrerebbero indubbiamente in situazioni potenzialmente pericolose. Ci sono cause che sono collegate alla sopravvivenza, per esempio, nel caso in cui vi sia la possibilità reale di ferirsi o pericolo di morte ma, anche quando questa possibilità reale non c’è, l’ansia può essere presente.
Se alla base dell’ansia c’è la possibilità di avere un danno reale, questo deve essere preso in considerazione perché interessa la capacità dell’allievo di reagire durante il corso di OM.
Ansia situazionale
Alcune situazioni sono ovviamente più pericolose o possono sembrare potenzialmente più pericolose. Un allievo può lavorare abbastanza bene in una zona calma ma sembra essere impaurito quando deve muoversi in zone più trafficate. Un altro allievo può andar bene sul proprio isolato e male su un isolato sconosciuto. In questo ultimo caso,  neppure la rassicurazione da parte dell’istruttore che non vi è grossa differenza tra i due isolati, può aiutare.   Da un’analisi superficiale, questi due allievi potrebbero sembrare contraddittori nelle loro prestazioni, ma da un’analisi più critica del loro comportamento si potrebbe scoprire che in determinate situazioni sono molto ansiosi.  Le cause dell’ansia in situazioni specifiche differiranno da individuo a individuo. Una persona è impaurita dai rumori forti del traffico e un’altra li ritiene rassicuranti per meglio orientarsi. Un allievo può lavorare bene in vie calme e meno bene in vie frequentate perché pensa che la gente lo osservi e associ ad una immagine negativa la persona con disabilità visiva.
Qualunque sia la causa di ansia in una determinata situazione, è di importanza fondamentale determinare se c’è qualcosa che influisce sulle prestazioni dell’allievo. In caso affermativo si devono conoscere  le cause specifiche.
Indicazioni mascherate
Il valore delle indicazioni per far fronte alle prestazioni richieste hanno caratteristiche relative. Se una persona deve risolvere un problema in una determinata situazione, deve poter distinguere quali sono le indicazioni utili per affrontarla.  Le indicazioni uditive sono naturalmente molto importanti per le persone con disabilità visiva. Si devono sentire determinati suoni e saperli interpretare correttamente per sapere se sono utilizzabili.  Spesso la valutazione sulle indicazioni uditive dipende dal rumore di fondo di un determinato luogo. Se il rumore di fondo è basso non vi sono particolari difficoltà nel discriminare i suoni utili che gli consentono di orientarsi e stabilire la propria posizione. Spesso però ci si trova in situazioni dove queste indicazioni sono mascherate da altri rumori, per esempio dal rumore improvviso di un martello pneumatico, o dagli operai che stanno lavorando in un cantiere, o dai richiami di altre persone. In questi casi l’allievo può avvertire ansia e se questa è forte può dimenticare di prestare attenzione ad altre indicazioni disponibili e comincia a disorientarsi.  In altri casi le informazioni uditive non sono mascherate in modo così compromettente; il rumore interferente può offuscare soltanto alcune informazioni. In tali situazioni chi ha difficoltà visive coglie subito un disturbo delle informazioni uditive e nell’interpretazione delle indicazioni che ha bisogno e questo può generare un inizio di ansia.

 Indicazioni ambigue
Un'altra causa di ansia nell'allievo è la presenza di indicazioni ambigue. Si può sentire qualcosa, ma non si è sicuri su come utilizzare questa informazione; questa può essere una situazione in cui l’ansia fa prendere decisioni errate. Per esempio, mentre si è in procinto di attraversare si sente una voce che dice qualcosa. Non si è capito se la voce ci ha avvertito di non andare o di andare o potrebbe  essere stato un commento non rivolto a noi. Resta il fatto che questa comunicazione ambigua stimola ansia che a sua volta interferisce con ciò che si è imparato e intrapreso. Durante questo attraversamento si può improvvisamente prendere una decisione sbagliata e rischiare di essere investiti. Questo comportamento può essere interpretato come disattenzione da parte dell’allievo e l’allievo stesso potrebbe attribuire l’errore alla sua disattenzione piuttosto che ammettere di aver preso paura.  Se l’istruttore accetta la dichiarazione del suo allievo e attribuisce l’accaduto alla disattenzione, male interpreta la causa di quel comportamento. Non potrà quindi aiutare l’allievo a risolvere il reale problema che è quello di fare i conti con l’ansia.
Azioni correttive
Nella maggior parte dei casi l’ansia si dissipa durante il corso. Si guadagna stima di sé, nelle proprie abilità e si diventa meno apprensivi. L’istruttore deve necessariamente informare gli allievi sugli stati di ansia e non deve alimentarla mettendolo in situazioni che richiedono la padronanza di abilità non ancora del tutto acquisite.  Lo scopo di questo capitolo è di far luce nei casi particolari in cui l’ansia è così estrema che interferisce con il normale svolgimento del corso di OM. Nel caso in cui l’istruttore abbia il sospetto dell’esistenza di ansia estrema, è importante che ne discuta con l’allievo. L’allievo può negare la sua ansia, ma l’istruttore può aiutarlo ad affrontarla precisando che è una reazione naturale di cui non ci si deve vergognare.  L’istruttore può aiutare l’allievo a controllare gli effetti del comportamento in situazione di ansia. Per esempio, l’allievo può non attraversare piuttosto che farlo in stato di ansia. Oppure se l’ansia lo induce ad esitare può concentrarsi sulle varie tecniche che consentono un attraversamento sicuro. Per l’allievo, sapere che il suo istruttore è informato sul suo stato di ansia e non lo condanna, riduce spesso l’intensità di questo fenomeno. Quando si confida nel proprio istruttore, le difficoltà sono condivise e non si ha la sensazione di doverle affrontare da soli.  Nel caso in cui un allievo provi ansia estrema riguardo a situazioni poco conosciute, l’istruttore può semplicemente rendere gli esercizi più graduali. Per esempio, si può cominciare la lezione in una zona conosciuta e poco a poco estendere l’itinerario. I cambiamenti improvvisi, come iniziare una lezione in una nuova zona, hanno spesso generato stati ansiosi. La gradualità che l’allievo può maneggiare è comunque a discrezione dell’istruttore. Soltanto lui può conoscere come l’allievo lavora e quando l’ansia interferisce con le prestazioni. Finché è informato di questo può usare un buon metro di valutazione sulle prestazioni del proprio allievo e individuare cosa può aspettarsi da lui. Lo stesso principio si applica per quegli allievi che provano ansia in zone molto rumorose. Permettere un’esplorazione graduale può aiutare ad abituarsi a quel tipo di rumorosità e di confusione.  Spesso è importante dare risalto verbale sulle indicazioni disponibili. Questo dovrebbe essere fatto prima di affrontare certe situazioni e siccome non è mai male ripetere alcune cose affinché vengano assimilate, è bene ripeterle di frequente specialmente quando l’ansia dell’allievo può essere così alta da interferire con le informazioni che l’istruttore sta dando.  Negli attraversamenti l’istruttore può stare a fianco del suo allievo per un certo tempo in modo da permettere che egli si adatti ai nuovi rumori. Può toccarle il braccio per rassicuralo di non essere da solo. Può essere molto efficace perché alcune persone possono pensare di essere completamente isolate quando il rumore è così forte da coprire le indicazioni uditive normali.
Un caso speciale di ansia può essere quello di un allievo ipovedente a cui viene proposto di lavorare bendato o di chiudere gli occhi. Esso può sentirsi privato di sicurezza perché privato momentaneamente della sua visione utile. Non è lo stesso che esserne privati per sempre ma può capire che cosa cambia senza  il pur minimo residuo visivo. Questa è una prova che l’istruttore può proporre al proprio allievo come "esperienza". E’ comunque sempre bene avere il consenso dell’allievo prima di proporre la benda.

4) - Funzione e problemi legati alla dipendenza
Dipendere da altre persone è uno dei problemi più difficili che devono affrontare  le persone con disabilità visiva.
Le persone con disabilità visiva congenita, o che lo diventano in giovane età, affrontano questo problema da subito. Spesso le persone che li circondano sono molto protettive e non sono al corrente degli strumenti e degli addestramenti necessari per diventare autosufficienti.
L’adulto che perde la vista ha problemi simili ma la sua reazione alla dipendenza è influenzata da fattori supplementari. I familiari possono costringerli a dipendere da loro o spingerli spesso verso una indipendenza non reale. In uno o nell’altro caso, la reazione è influenzata dal fatto che la persona ha vissuto per molto tempo l’indipendenza prima di perdere la vista. Era esente dalla necessità di dipendere da altri ed è più informato su cosa potrebbe o non potrebbe ancora fare.
Niente è più soddisfacente del cambiamento che porta al muoversi e spostarsi liberamente. Anche nei dintorni conosciuti o della propria abitazione dove spesso ci si accorge di non poter più riuscire a spostarsi autonomamente. Ci si accorge di poter urtare contro un palo, cadere dal ciglio del marciapiede e disorientarsi persino nella propria abitazione. Ma se pian piano si acquisiscono abilità nel muoversi e gestire la propria casa, allora si ha il coraggio e la voglia di sperimentare nuovi percorsi, per esempio, andare a trovare il vicino di casa o al supermercato del proprio isolato.
Il problema specifico che riguarda gli individui con deficit visivo è la motivazione al raggiungimento di indipendenza, non importa quanto indipendenti si è ma cosa e dove si vuole arrivare. Molti scopriranno che potranno fare tante cose ed altre che non potranno fare o, in alcuni casi, farle a costo di molta fatica e difficoltà.  Muoversi senza l’aiuto della vista è un’abilità che può sembrare impossibile alla persona che ha perso la vista da poco tempo. Ha contato sulla vista per così lungo tempo che non può credere che potrà essere ancora una persona indipendente senza di essa. Spesso queste persone prendono coscienza del problema proprio durante un corso di OM e tutto ciò che sembrava impossibile comincia ad entrare nel regno della possibilità.  Anche in questa situazione però resta il problema della dipendenza. Si deve determinare cosa è realmente possibile e cosa non lo è. La persona può iniziare l’addestramento con aspettative molto elevate ma accorgersi che le sue abilità non sono all’altezza. Muoversi nei luoghi conosciuti e calmi può essere molto facile ma allargare questo raggio d’azione può sembrare uno scoglio insormontabile. Affrontare il fatto che non può realizzare i suoi obiettivi iniziali può essere demotivante e frustrante.
Conoscere i propri limiti non deve essere preso come causa della propria intelligenza che sembra venir meno, ma proprio perché si è consapevoli e coscienti di ciò che in quel momento si è in grado di fare o meno è essenziale per il movimento intelligente e sicuro. Bisogna valutare ciò che si è in grado di fare da soli e quando si ha bisogno di aiuto. Si può essere in grado di gestire il proprio isolato e più, ma non essere in grado di attraversare un incrocio. Quello è il momento in cui chiedere aiuto a qualcuno, per attraversare e poi procedere di nuovo da soli.
Per le persone questa valutazione di sé è spesso difficile. Una persona può pensare di aver raggiunto i limiti delle sue abilità mentre in effetti sta imparando e facendo altri passi avanti. Un’altra persona non ammette che ha raggiunto il suo limite finché non ha raggiunto il suo obiettivo.
Queste persone devono avere l’aiuto del proprio istruttore. E’ l’istruttore che con attenta osservazione analizza il progresso dell’allievo ed è in base a questa analisi che deve determinare se l’allievo abbia raggiunto un limite nel suo imparare o se ha le capacità di migliorare le sue prestazioni.
Una volta che l’istruttore ha concluso che l’allievo ha raggiunto i suoi limiti dovrebbe fornirgli queste informazioni e discuterne con lui; se non si procede in questo modo, l’allievo non può trarre beneficio da ciò che sta imparando e sulla sua condizione.  Quando un allievo impara che ha dei limiti nella sua capacità di muoversi autonomamente dovrà occuparsi di che cosa vorrebbe fare e che cosa può fare. Senza consapevolezza dei propri limiti potrebbe mantenere aspettative molto altre ma con scarse probabilità di raggiungerle. Potrebbe spingersi oltre questi limiti e mettersi in pericolo. Deve accettare i propri limiti se desidera essere una persona che agisce in sicurezza. La dipendenza dagli altri sarà quindi una dipendenza reale e non una dipendenza costretta o stabilita da altri.
Non è certamente facile per un istruttore affrontare questo argomento che certamente deluderà il suo allievo. E’ meglio dare una delusione che presto svanirà piuttosto che lasciare che il proprio allievo lotti in situazioni nelle quali non potrà avere ulteriori successi. Se le lezioni sono improduttive la frustrazione crescerà. In più, essere evasivi sul problema e trovare altre motivazioni per dire al proprio allievo che il corso può terminare non è onesto e professionale. Chi ci rimette è sempre l’allievo. Un esempio è quello in cui l’istruttore trova delle scuse per terminare il corso: mancanza di tempo, impegni improvvisi, ecc. Allora l’allievo andrà in cerca di altri istruttori e, una volta iniziato un altro corso dovrà affrontare ancora la frustrazione di provare ad imparare qualcosa che va oltre le sue abilità.  Se una persona ha reali limitazioni circa la capacità di muoversi autonomamente è bene dirlo. L’istruttore può parlare con l’allievo riguardo a come e quando dovrà dipendere da altri. Poiché l’istruttore sta aiutando l’allievo ad occuparsi realisticamente del suo problema di dipendenza, sta fornendo l’aiuto di cui l’allievo ha realmente bisogno.
Un altro problema che riguarda gli istruttori è quello della dipendenza dell’allievo da lui. Questa dipendenza è stimolata dalla natura stessa del rapporto tra istruttore-allievo. L’istruttore è il professionista, la figura dalla quale l’allievo dipende per acquisire nuove abilità. Nelle fasi iniziali del corso l’allievo è molto indifeso e l’istruttore gli è molto vicino. La sua sicurezza dipende dal suo istruttore. Quindi, la dipendenza dell’allievo verso l’istruttore è sia inevitabile che auspicabile. E’ inevitabile a causa della limitazione imposta dal danno visivo; è auspicabile perché l’allievo deve sviluppare un certo grado di fiducia nel suo istruttore se deve trarre beneficio dal suo insegnamento.
L’intero processo di addestramento di un corso di OM è un alternarsi di dipendenza per la conquista di fiducia e di spinta verso l’indipendenza. E’ una sequenza che si ripete mentre l’allievo passa da una tappa ad un’altra. L’allievo si fida del suo istruttore e dipende da lui. L’istruttore usa questa fiducia per far avanzare l’allievo verso mansioni più complesse e difficili durante il corso.
La dipendenza, in questo senso, facilita il processo di apprendimento finché l’istruttore può mantenere il giusto equilibrio. La dipendenza se non è controllata interferirà con l’apprendimento. L’istruttore deve capire cosa succede nella testa dell’allievo; per esempio, deve saper  interpretare se l’allievo è lento o disordinato nel portare a termine le richieste a causa della dipendenza o per altri motivi.  L’allievo può diventare così dipendente dal suo istruttore che non sa fare le cose senza di lui. Potrebbe attraversare abbastanza bene una via quando l’istruttore è presente ma non può fare così quando è solo. E’ possibile che la sua difficoltà sia causata da un’ansia estrema ma è anche possibile che il problema reale sia la dipendenza eccessiva dall’istruttore. Nell’uno o nell’altro caso, l’allievo non può occuparsi realisticamente del problema. Se l’istruttore deve aiutare l’allievo, deve sapere che la dipendenza eccessiva è un fattore molto importante durante il corso di OM. Con tale conoscenza può aiutare l’allievo a trovare un equilibrio fra dipendenza reale e non reale e facilitarne il processo di addestramento.

5) Imbarazzo, vergogna: altri sentimenti importanti durante il corso di OM
Imbarazzo o vergogna sono altri problemi che a volte interferiscono con il progresso di un allievo durante il corso. È l’imbarazzo o vergogna  nei confronti degli altri. La persona imbarazzata o timida ha reazioni sia sul conoscere nuove cose sia sulla possibilità che altri possano guardarla e giudicarla. Ritiene di essere al centro dell’attenzione altrui e si preoccupa eccessivamente del pensiero degli altri perché potrebbe sembrare ai loro occhi incompetente, ecc
Le aspettative sociali sono spesso la causa di questo imbarazzo e vergogna. Se la persona timida rovescia qualcosa mentre sta mangiando, è sicura che gli altri avranno un’espressione o pensieri strani riguardo a ciò. Se inciampa mentre cammina, è sicura che chiunque la stia osservando presupponga che è impacciata o altro.  L’effetto di tale percezione è quello di essere inibiti nel proprio comportamento. Si eviteranno le attività che potrebbero attirare l’attenzione degli altri. In molte situazioni, ci si priva della libertà di comportamento e per fare una determinata cosa la si complica per sembrare più adeguati.  Questi sentimenti interessano e influiscono nella vita delle persone. L’istruttore in questi casi può rassicurare la persona che nessuno ha focalizzato la sua attenzione su di essa e può tranquillamente fare le cose tranquillità. Anche per l’esatto contrario può trovare parole e modi per far sì che questi sentimenti non prendano il sopravvento e limitino nel fare. Per le persone non vedenti, non avere un riscontro reale di ciò che gli altri stanno facendo è un problema che devono superare con l’aiuto delle persone di cui si fidano.  Un fattore che alimenta il problema è l’immagine negativa in merito alla disabilità visiva che ha molta gente. Lo stereotipo comune di una persona non vedente è ancora quello di un individuo indifeso e dipendente. E’ difficile che la gente pensi che chi porta occhiali scuri e bastone bianco goda anche di benessere. Le persone con disabilità visiva che hanno interiorizzato questa immagine della cecità, quasi sicuramente si identificheranno in questo stereotipo. Sono sicuri che chiunque li veda, penseranno a lui in questo modo. Questo fattore è da tenere in considerazione quando si fa un corso di OM. Le persone stanno imparando nuove tecniche per la deambulazione e devono fare questo addestramento in pubblico. All’inizio i movimenti sono impacciati perché non si è ancora pratici con l’uso del bastone e di questo c’è consapevolezza. In più, usando il bastone bianco, si rende immediatamente visibile alla gente la propria disabilità e si attira la loro attenzione.  Il corso viene fatto alla luce del sole non in segretezza e non si può nascondere la propria condizione. Questo fattore può essere dominante e interessare il lavoro durante la lezione. I movimenti possono essere impacciati e scoordinati. La persona può essere talmente presa dal pensiero di essere osservata che non può concentrarsi sulla tecnica adeguata del bastone. In più non riesce a prestare attenzione alle indicazioni acustiche e tattili  richieste per muoversi in sicurezza.   Un allievo ha descritto il suo sentimento in questo senso: “Sono così imbarazzato che quando faccio un errore vado in tilt. Non ricordo di ascoltare e prestare attenzione ai messaggi del bastone, perdo l’attenzione e la concentrazione.”
Per molte persone questo sentimento ha impedito loro di iniziare un corso di mobilità. Ad altre questo sentimento è andato affievolendosi durante il corso. Hanno cominciato a fidarsi di se stessi, a padroneggiare le tecniche e a tenere sotto controllo la loro timidezza o imbarazzo.  Per un istruttore di mobilità è possibile aiutare le persone a sormontare il loro imbarazzo iniziale discutendone e precisando che questo atteggiamento influisce sulle loro prestazioni. Può anche sottolineare come l’imbarazzo iniziale sparirà diventando via via sempre più abili e conquistando più indipendenza. Quando tuttavia il problema dovesse essere insormontabile sarebbe utile consigliare alla persona di rivolgersi ad un professionista che lo aiuti in tal senso, proprio perché se il problema persiste significa che non può essere trattato facilmente solo dall’istruttore di OM.  La consultazione fra l’istruttore di OM e le altre figure professionali può avvantaggiare l’allievo. Può accelerare il processo terapeutico e di conseguenza i processi di addestramento. Quando ciò avviene è essenziale che l’allievo sia informato e dia il suo permesso. Anche se l’obiettivo dell’istruttore e del terapista è il benessere dell’allievo, esso ha il diritto di sapere cosa succede intorno a sé. Se scoprisse che si sta facendo qualcosa per lui senza esserne informato, può venir meno la fiducia sia nell’istruttore che nel terapista e la fiducia è un elemento essenziale sia nella terapia sia nel corso di OM.  L’imbarazzo e la timidezza sono collegate con l’immagine di sé. Se l’autostima è bassa, l’individuo penserà che anche gli altri lo vedano così. E’ proprio quando aumenta l’autostima che nelle persone diminuisce l’imbarazzo e  la timidezza. Anche la riduzione di ansia può far diminuire questi sentimenti.  Quando l’allievo comincia il corso di OM può avvertire in maniera molto forte questi sentimenti ma quando le sue abilità di mobilità migliorano si sentirà più sicuro e tranquillo. Anche se imbarazzo e timidezza saranno comunque presenti, non saranno così importanti quanto la voglia di conquista di indipendenza. L’istruttore può aiutare l’allievo in questo processo dando enfasi agli effetti positivi che le nuove conquiste hanno su di lui: con il bastone cammina meglio; ha un portamento più sicuro, ecc. L’istruttore aiuta e pone attenzione al momento opportuno. A volte basta dire al proprio allievo: “non sembri più così nervoso come agli inizi del corso. Sono sicuro che anche gli altri noteranno questo.” Le osservazioni devono comunque essere fatte nei tempi giusti e dovrebbero essere usate prudentemente. Se l’allievo si ritiene ancora impacciato non accetterà una osservazione che contraddice la sua percezione. In più, le osservazioni devono essere oneste. Se l’allievo non esegue bene una certa funzione, l’enfasi dovrà essere posta su qualcosa di consolidato o che si sta consolidando. E’ nei tempi giusti che le gratificazioni danno sempre il loro effetto positivo.
6) - "Resistenza" al corso di OM
Un problema di cui l’istruttore deve tener conto è la "resistenza" (renitenza) da parte dell’allievo al corso di OM.  Non tutte le persone che perdono la vista sono desiderose di imparare a muoversi autonomamente. Anche chi si iscrive ad un corso di formazione, cominciato l’addestramento, non è necessariamente esente dal problema.  Molte persone fanno resistenza sull’uso del bastone per la mobilità o sulle tecniche di addestramento. Molti annullano gli appuntamenti, trovano giustificazioni per il loro ritardo o addirittura annullano il corso. Queste forme di resistenza sono facili da identificare. Le persone lo dichiarano apertamente: ho cambiato idea in merito al corso e non desidero proseguire.  La resistenza può anche prendere forma di "ribellione/riluttanza" durante il corso. L’allievo discute con l’istruttore su ciò che deve fare, cosa può fare o come fare. A volte disobbedisce deliberatamente alle consegne o rifiuta di effettuare una certa operazione che l’istruttore gli ha insegnato.  Certe forme di resistenza non sono facili da individuare. L’allievo sembra fare e dire cose giuste. Si iscrive al corso ed è puntuale agli appuntamenti, ma il suo comportamento non corrisponde ai suoi obiettivi dichiarati. Oppure, manca agli appuntamenti ma non dà una giustificazione soddisfacente. Fa errori che non dovrebbe fare in una fase particolare dell’addestramento. Questi comportamenti possono mascherare riluttanza verso il corso. Un altro allievo può essere passivo, comprende male le istruzioni o si disorienta in percorsi che dovrebbe conoscere bene. Se l’istruttore desidera concordare un orario al pomeriggio, egli è libero solo la mattina; se l’istruttore concorda per la mattina alle dieci, egli dice che è meglio alle undici.
Alcune forme di resistenza sono spesso difficili da identificare con certezza. Le giustificazioni sono spesso legittime; la gente dimentica gli appuntamenti; i trasporti spesso effettuano ritardi; è possibile disorientarsi anche in ambienti noti; è certamente possibile capire male le indicazioni del proprio istruttore.  Spesso però queste cose accadono con tale frequenza che l’istruttore comincia ad insospettirsi: un errore va bene, ma tanti? annullare un appuntamento va bene, ma quasi ogni settimana?   Vari fattori possono contribuire alla resistenza dell’allievo ad un corso di OM. L’allievo può avvertire ansia al pensiero di dover iniziare il corso che non riesce nemmeno a cominciarlo, o se inizia, l’ansia è così forte che subentra la resistenza. In questo caso la mobilità indipendente non può essere il suo obiettivo. Può iscriversi a causa di pressioni da parte dei familiari; può essere motivato ad imparare a muoversi autonomamente ma la famiglia non gradisce che usi il bastone bianco e non vedono di buon occhio il corso. La famiglia può fare pressione sul fatto che non ha bisogno di un corso di mobilità per imparare a diventare indipendente, può fare da sé o con loro. Subentra in questi casi il conflitto fra i propri bisogni e quelli della famiglia. Un ulteriore motivo di resistenza può essere il desiderio della persona di non perdere la dipendenza dai propri familiari, o può essere così imbarazzato e timido da evitare il corso che lo costringerà alla vita pubblica. L’immagine di sé con un bastone bianco può essergli così difficile da digerire che si sente svalutato ogni volta che deve usarlo. Le cause della resistenza vanno scoperte e si deve dedicare del tempo per cercare di superarle. Non è sufficiente stabilire che la persona è resistente al corso e quindi consigliare di fermarsi. Non ci si può nemmeno limitare a dare la semplice informazione senza che egli stesso ne abbia preso piena coscienza e di conseguenza cercare di controllare i suoi comportamenti. Quando è l’ansia la causa di resistenza agli inizi di un corso, l’istruttore può aiutare l’allievo con uno o due incontri di discussione. Può spiegare lo scopo e la dinamica di un corso e tranquillizzare l’allievo. L’allievo avrà occasione di fare domande ed esprimere le sue preoccupazioni, desideri, preferenze. La stessa tecnica può essere applicata per altri problemi che portano alla resistenza. Se questi incontri non sono d’aiuto può, anche in questo caso, essere utile consigliare all’allievo un terapista. Il tutto deve essere trattato nei momenti giusti e in base al rapporto stabilitosi durante il corso. L’interferenza della famiglia può richiedere un intervento a nome dell’allievo. L’allievo può essere in difficoltà nell’affrontare certi argomenti con la famiglia e l’istruttore può essergli d’aiuto. A volte questo aiuto migliora il rapporto sempre se fatto con discrezione, professionalità e soprattutto al momento opportuno.
Non è certo possibile risolvere tutti i casi di resistenza, ma in molti casi l’attenzione particolare dell’istruttore porta a sensibili miglioramenti.


7) - Atteggiamenti e concetto di sé che interessano le persone con disabilità visiva
La persona cieca o ipovedente grave congenita ha esperienza del mondo che la circonda data dalle informazioni ottenute tramite gli altri sensi o su un residuo visivo molto compromesso. Se ha un residuo visivo considerevole che col tempo viene a ridursi, è costretta a procedere ad un nuovo metodo di registrazione dei messaggi e di conoscenza. La visione, benché limitata, era parte integrante delle sue capacità. Questa persona reagirà alla perdita o riduzione di quel residuo visivo come una persona vedente che perde all’improvviso la vista. Un bambino cieco congenito non sa cosa significhi perdere la vista, perché per lui non vi è alcuna perdita, è semplicemente la sua condizione iniziale. Se la famiglia predisporrà per lui un ambiente adeguato dove poter fare esperienze, lo aiuterà e solleciterà nella conquista di indipendenza, quel bambino svilupperà un buon concetto di sé. Saprà cosa può fare e non può fare. Le sue aspettative e quelle degli altri saranno realistiche. Non tenterà invano cose che vanno oltre le proprie abilità del momento, né si riterrà adeguato per certi compiti in cui avrà bisogno di coloro che vedono.
Il genitore che fa richieste eccessive al proprio bambino, promuove in lui un sentimento di inferiorità. Poiché egli non può rispondere adeguatamente alle richieste, col tempo sviluppa un concetto di sé negativo, di inadeguatezza. Questo atteggiamento si riscontra spesso in un corso di OM. La persona, proprio perché spesso ha fallito, pensa di continuare a fallire e inconsapevolmente avrà aspettative basse. Se le prestazioni migliorano, anche il concetto di sé deve migliorare. Lo sforzo considerevole che si chiede all’allievo è di realizzare questo obiettivo. L’istruttore deve in primo luogo determinare i prerequisiti di base e la capacità psico-fisica di acquisire competenze adatte in quel determinato momento. Una volta stabiliti questi requisiti, l’istruttore deve portare lentamente ma con determinazione l’allievo ad un nuovo concetto di sé durante il processo di addestramento. Deve tenerne conto in ogni fase dell’addestramento e procedere per gradi. Ogni errore influisce sull’autostima e la abbassa; ogni successo, anche se piccolo, aggiunge all’immagine di sé competenza e successo. E’ importante rassicurare l’allievo e fargli capire cosa si sta progettando per lui. In questo modo, durante il corso, passi in avanti e autostima avverranno simultaneamente. Alcune persone cieche congenite hanno il problema opposto. Hanno un concetto di sé molto alto ma non realistico. I genitori di questi bambini hanno aspettative estremamente basse. Si complimentano con loro per delle prestazioni che non eseguono in maniera idonea e sufficiente. Li elogiano se all’età di dieci anni usano la forchetta al posto delle mani mentre questa abilità dovrebbero averla acquisita già da molto tempo. Altri elogi quando imparano a legare le scarpe a quattordici anni, quando altri è da quando erano in prima elementare che lo fanno. Il fattore critico per questi bambini è che non vedendo gli altri, non si possono confrontare con ciò che altri loro coetanei fanno. Ovviamente non si vuol condannare questi genitori per ciò che fanno. Molto probabilmente non conoscono che cosa una persona senza la vista è in grado di fare. Resta il fatto che danno al loro bambino un metro non realistico per giudicarsi. Essi possono pensare di far bene quando in effetti le loro prestazioni sono al minimo. L’istruttore non può aiutare questi bambini imitando il modello determinato dai genitori. L’allievo deve avere un metro di auto-valutazione realistico e specifico alle doti e attitudini particolari di ogni persona. Le aspettative si devo assestare sulla normalità, dove per normalità si intende cosa generalmente la maggior parte delle persone non vedenti è in grado di fare. Questi bambini hanno bisogno di rinforzi positivi per ciò che fanno, ma i rinforzi devono sempre essere realistici. Non si deve dire all’allievo che ha fatto bene quando ha fatto le cose in modo approssimativo. Allo stesso modo l’approvazione da parte dell’istruttore ci deve essere quando c’è un reale progresso, non quando il miglioramento è minimo; per esempio: “hai migliorato dall’ultima volta, ma so che puoi migliorare ancora…”. Il processo di mettere in contatto l’allievo con la realtà deve essere graduale. Sarebbe difficile, se non impossibile, cambiare in pochi mesi un modello consolidato durante diciotto o venti anni. Dire ad una persona che il concetto di sé non è reale sarebbe brutale e disastroso. Compito dell’istruttore è di lavorare lezione dopo lezione per portare l’allievo a un concetto di sé più vicino alla realtà mentre nello stesso tempo lo aiuta a portare le sue prestazioni su livelli più impegnativi e adatti.

Motivazione all'indipendenza
Le persone con disabilità visiva congenita desiderano le stesse cose che la maggior parte della gente desidera. In primo luogo vogliono diventare indipendenti. Desiderano essere riconosciuti ed avere rapporti sociali. Aspirano e lavorano per questi obiettivi.  Ci sono però persone che, pur desiderando le stesse cose e avendo gli stessi obiettivi, non sanno lavorare per raggiungerli. Sono limitati nelle esperienze e nelle conoscenze. Sono stati controllati dai genitori/parenti che hanno diretto per loro le attività verso obiettivi specifici, senza fornire gli strumenti adatti per il raggiungimento degli stessi in autonomia. Alcune di queste persone hanno soltanto bisogno di qualcuno che gli indichi la strada da seguire. Altri, hanno comportamenti che sembrano contraddire i loro desideri. Bisogna capire se l’ambiente in cui sono cresciuti era circoscritto e temono tutto ciò che è diverso. In casi del genere, l’istruttore deve lavorare prudentemente per espandere l’ambiente conosciuto; in casi estremi certe privazioni possono resistere al trattamento. Tuttavia è sempre utile sapere le esperienze pregresse per usarle come base del proprio lavoro. Se si espande con gradualità e attenzione il raggio d’azione di una persona, la sua ansia diminuirà.  La motivazione gioca sicuramente un ruolo importantissimo per la conquista di indipendenza. Una spiegazione possibile per la mancanza apparente di motivazione la si può ricondurre nell’interazione familiare. La famiglia può promuove il comportamento dipendente a tal punto, che la persona non ha alcun desiderio o motivo per essere indipendente. Perché dovrebbe cimentarsi in compiti ardui e difficili per imparare a spostarsi da solo quando la famiglia soddisfa tutte le sue esigenze di spostamento? Infatti, alcuni allievi chiedono un corso di OM perché i loro amici lo stanno facendo o lo hanno fatto, ma è sostanzialmente appagato da ciò che ottiene dalla sua famiglia. Dove una tale interazione esiste, è difficile far scaturire la motivazione nell’allievo verso l’indipendenza. Spesso la pressione da parte degli amici o di uno terapeuta di fiducia può essere efficace. Il percorso è lento e tortuoso e l’istruttore deve decidere se tale sforzo è utile quando alla base non ci sono elementi solidi, continui e condivisi su cui gettare le fondamenta necessarie per progredire.

8) - Domande all’allievo
L’istruttore può fare molte domande al suo allievo prima che inizi il corso e durante il corso.
Può desiderare di sapere se l’allievo compie dei percorsi in autonomia e in caso affermativo, come.
Può voler sapere se c’è qualcosa di particolare che lo irrita o come la sua famiglia si interessa in merito alle sue abilità. Queste sono domande di routine che l’istruttore rivolge per avere uno strumento di valutazione e conoscenza dell’allievo e poter fare una programmazione mirata del lavoro. Le informazioni raccolte prima e durante gli incontri servono all’istruttore per valutare i comportamenti o le prestazioni del suo allievo.
Ma può l’istruttore fidarsi completamente delle risposte verbali del suo allievo? Può credere alle cose che egli dice circa le sue abilità, il suo carattere o la sua famiglia? Spesso c’è discrepanza fra le risposte verbali degli allievi e le osservazioni dell’istruttore. L’allievo dice che si muove abbastanza bene  nel suo ambiente, ma l’istruttore osserva che cammina lentamente, con una postura scorretta, che spesso si muove per tentativi ed errori senza farne tesoro le volte successive. Riesce a girare attorno al suo isolato ma tiene costantemente un braccio in avanti. E’ chiaro che è teso e ansioso. La sua famiglia desidera che impari a muoversi autonomamente ma hanno il respiro affannoso se urta un oggetto e si affrettano a spostarlo e guidarlo da un’altra parte.
Nella maggior parte dei casi la discrepanza è un aspetto delle differenti percezioni. L’allievo può confrontare le sue prestazioni con ciò che era in grado di fare un settimana prima o tre mesi prima; questo confronto lo porta a dire che sta facendo molto bene. L’istruttore, per contro, nota che l’allievo, in termini di competenze di OM, si disorienta, non cammina diritto ed è impaurito. L’allievo percepisce l’influenza della sua famiglia secondo i suoi bisogni fisici e primari. Non può permettersi di essere troppo critico nei loro confronti perché dipende da loro. Altri criticano in modo esagerato la famiglia a causa della loro condizione, quasi incolpandoli di questo; altri ancora pensano che solo la loro famiglia li proteggerà. Inoltre, gli sforzi che fanno le persone per la conquista di indipendenza, spesso contribuiscono alla distorsione delle percezioni. Le persone che hanno perso la vista da poco tempo solitamente vivono con una forte pressione; stanno cercando di riconquistare ciò che la perdita della vista ha loro tolto, e gli sforzi sono considerevoli. L’autostima che si abbassa può provocare una descrizione esagerata delle proprie abilità. Poiché ci si svaluta, si tenta di descrivere qualche cosa che ci faccia sembrare agli altri una persona migliore. Quindi le risposte degli allievi sono determinate da più fattori. Le discrepanze fra l’auto-valutazione dell’allievo e le sue abilità reali hanno valore per l’istruttore perché interessano il progresso che  l’allievo fa durante il corso.
A volte le domande rivolte all’allievo sembrano essenziali, ma spesso si conclude che quelle in sospeso daranno risposte migliori. Ovviamente una domanda che richiede soltanto “sì, o no” come risposta, limita la quantità di informazioni ricevute. Altre possono essere formulate in maniera approssimativa e dar adito a interpretazioni diverse: per esempio, “lei si sposta da solo?” può sembrare una domanda formulata in modo da avere una risposta precisa. La risposta può essere: “sì”. Ma che significato ha quel sì? Dove si sposta da solo?: vicino alla propria abitazione, intorno al suo isolato o oltre, ecc.; e soprattutto come si muove?: gira intorno al proprio isolato ma si perde o disorienta frequentemente, spesso occupa la carreggiata senza accorgersene, ecc.; o ancora, per quanto tempo e in quanto tempo?: per cinque minuti, ecc.
Domande come: “mi dica dove di solito effettua i suoi spostamenti in autonomia…”, “che genere di problemi ha quando viaggia da solo o con qualcuno?”, ecc., ottengono risposte con informazioni più utili; quindi, l'istruttore deve sapere anche come porre le domande. Per esempio, se l’istruttore chiede: “la sua famiglia è iperprotettiva?”, l’allievo per difendere la sua famiglia può rispondere con un semplice “no”. Ma se l’istruttore chiede: “che genere di aiuto avete dalla vostra famiglia….” potrebbe trarre dalla risposta maggiori e più reali informazioni.
Quando l’istruttore interroga l’allievo deve sapere che è una parte integrante del corso di OM. Confrontare le informazioni con le proprie osservazioni servirà per valutare i bisogni e i progressi di ogni allievo. Se le domande sono trascurate, l’istruttore non potrà insegnare al suo allievo al meglio, poiché difetta delle informazioni necessarie per strutturare una programmazione individualizzata. Se effettuerà correttamente questa fase preliminare, aumenterà la sua conoscenza e la sua efficacia di istruttore.

9) - Ansia dell'istruttore
Anche se stati di ansia eccessiva non sono cosa comune, possono accadere. L’istruttore può avvertire una certa ansia quando fa la lezione con un allievo. La sua ansia non può essere quanto quella dell’allievo, ma può interessare il corso e i risultati.
L’ansia può provenire da varie cause. L’istruttore può non aver fiducia nelle proprie capacità; può derivare da preoccupazione che l’allievo cadrà o si ferirà a causa della propria disattenzione o mancanza di abilità. L’ansia diventa così una componente dell’incapacità dell’istruttore di controllare le prestazioni dell’allievo o le circostanze di una lezione.
Una certa ansia da parte dell’istruttore può essere favorevole. Se si è un po’ apprensivi, non si chiederà all’allievo di tentare un’operazione per cui non è preparato. Prima di assegnargli un compito si considererà la possibilità di potersi ferire o di mettersi in situazioni pericolose. Questa forma di ansia limitata  è a beneficio dell’allievo e non impedisce il suo progredire, ma piuttosto lo fa avanzare in modo “giudizioso”.
Quando l’ansia dell’istruttore eccede i limiti ragionevoli, interferisce solitamente con il progredire dell’allievo. Si mette un freno all’allievo e non gli si permette di affrontare determinate situazioni. L’istruttore diventa iperprotettivo verso l’allievo e non gli offre occasioni di conoscere, fare e sperimentare da sé. Al contrario può reagire a questa sua ansia chiedendo al proprio allievo prestazioni eccessive. Propone obiettivi elevati e spinge l’allievo oltre i limiti.
Fortunatamente questa ansia estrema è rara, ma quando essa dovesse comparire è bene fermarsi un po’ e cercarne le cause, altrimenti si rischia di non sortire alcun effetto o addirittura recare danno all’allievo.
Spesso questa ansia estrema è da ricondurre all’esperienza fatta dall’istruttore durante il proprio addestramento. L’ansia che ha sperimentato da bendato può aiutarlo a capire la sensibilità dei suoi allievi ma può anche stimolare un sentimento iperprotettivo. Un istruttore non è coscienzioso perché osserva, insegna o aiuta i suoi allievi; egli può interferire negativamente perché offre loro un sostegno maggiore di quello di cui hanno realmente bisogno. Con il suo operare trasmette ansia agli allievi e stimola ancor più la loro. Una persona mi ha informato che il suo istruttore, lo ha bombardato di informazioni relative ai vari pericoli da renderlo nervoso. Alcune prestazioni degli allievi possono stimolare l’ansia dell’istruttore, ma per contro, l’allievo ha preso l’ansia dell’istruttore ed è diventato più nervoso. Di questo gli istruttori devono essere consapevoli. Hanno la possibilità di discuterne con altri istruttori o, se necessario, con un terapista che può minimizzare questo effetto. Può ulteriormente trarre beneficio dall’esperienza e prendere maggiore coscienza sulla propria ansia e quella dei suoi allievi. Acquistare maggior sensibilità verso i sentimenti dei propri allievi, rende gli istruttori e il loro lavoro migliori.

10) - Irritabilità verso l'allievo
Quasi ogni istruttore  ha avvertito una certa irritabilità durante il suo lavoro con gli allievi. Irritabilità o antipatia possono essere soltanto avvertiti in un’occasione particolare, ma possono anche prolungarsi durante tutto il corso.
L’istruttore che prova “antipatia” verso il suo allievo è anche impaziente e poco sensibile nei suoi confronti. Assegna ad esso compiti difficili o fornisce poche spiegazioni durante le lezioni senza dare importanza alle cause che provocano certi comportamenti. L’allievo può fare errori senza ricevere critiche costruttive. Anzi, le critiche spesso sono ingiustificate o, se valide, sono espresse senza troppo riguardo verso la sensibilità dell’allievo.
L’istruttore può provare antipatia per svariati motivi. Può provare questo sentimento a causa della propria ansia e usarla come difesa. Spesso questa antipatia viene tramutata in rabbia o irritabilità perché è un sentimento molto più accettabile dell’ansia. Può anche provenire da una certa debolezza, per esempio, se l’istruttore non si ritiene all’altezza di controllare il comportamento di un allievo o le circostanze della lezione. Il comportamento stesso dell’allievo può irritare l’istruttore; desidera aiutarlo ma l’allievo persiste nel non collaborare e il suo comportamento non porta a nessun cambiamento. Un altro allievo può non fare alcun progresso a causa delle sue limitazioni; l’istruttore prova di tutto ma i miglioramenti non si vedono. In questi casi l’istruttore si sente frustrato e questo sentimento viene espresso con irritabilità o antipatia verso l’allievo che non sta facendo progressi.
E’ facile immaginare che quando ciò accade, il risultato interesserà tutto il processo di istruzione. Se l’allievo prende coscienza dell’irritabilità del suo istruttore  reagirà con maggior resistenza. Se avverte ansia nel suo istruttore, la sua ansia aumenterà. Non conosce e non capisce i sentimenti del suo istruttore e di conseguenza sarà confuso e le sue prestazioni andranno deteriorandosi.
Invece di reagire in una situazione difficile, l’istruttore dovrebbe capire la causa e controllare i propri sentimenti. Mentre cerca di capire può sicuramente migliorare le sue reazioni. Con questa conoscenza, può anche fare dei passi indietro, cosciente di poter maneggiare solo alcuni problemi durante un corso di OM e chiedere aiuto per altri a istruttori più competenti ed esperti.

11) - Soddisfazione dell'istruttore
La soddisfazione dell’istruttore di mobilità è un elemento importante durante il corso di OM.
Si impegna nel proprio lavoro, contribuisce a sviluppare un buon rapporto con l’allievo e gioca un ruolo importante nel progresso del suo allievo.
La soddisfazione personale proviene da varie fonti. Sapere che si sta contribuendo al benessere di un’altra persona aiuta l’istruttore a considerarsi “un valido professionista”, è consapevole che sta operando nel migliore dei modi e la  sua soddisfazione è alimentata dal fatto che l’allievo sta facendo progressi.
L’istruttore deve comunque saper controllare la situazione in base alle caratteristiche di ogni suo allievo. E’ soddisfacente lavorare con un allievo che risponde bene, fa progressi, si fida, ecc.; è certamente meno soddisfacente lavorare con un allievo che non fa progressi, che ha problemi aggiuntivi, che ribatte ad ogni insegnamento o che discute su ogni parola. Con alcuni allievi il lavoro può diventare ripetitivo e noioso. Di conseguenza non si osserva dovutamente l’allievo e può capitare che gli unici allievi che trarranno beneficio dal suo insegnamento siano quelli che egli ritiene compatibili con la sua personalità.
La soddisfazione personale dell’istruttore, come già detto, proviene comunemente dal progresso dell’allievo. E’ gratificante vedere lo sviluppo particolare del proprio allievo e sapere di aver contribuito ai suoi progressi.  Spesso  il proprio allievo è relativamente indipendente quando inizia il corso, perché supportato dalla famiglia nella maggior parte delle sue esigenze. L’istruttore allora tenta gradualmente di far apprendere mansioni sempre più complesse, persuade il suo allievo con lusinghe e lo spinge a nuove iniziative. L’istruttore sa che è improbabile che il suo allievo potrà ugualmente riuscire a fare questi progressi senza l’aiuto di un professionista e con le conoscenze particolare di un istruttore di OM. Questo atteggiamento può essere pericoloso se non si insegna con imparzialità, con equità, a qualsiasi persona. L’istruttore deve controllare sentimenti e situazioni che possono minare i rapporti o recare danno ai propri allievi.
E’ importante essere informati di questo sentimento di “soddisfazione” non per se stessi, ma a causa dell’effetto che avrà sull’allievo. Le parole e il tono di voce dell’istruttore trasmettono i propri sentimenti verso l’allievo. L’allievo, a sua volta, risponderà a queste sensibilità e alla percezione che ne avrà.
Se l’allievo è consapevole che il suo istruttore è soddisfatto e compiaciuto del suo comportamento, sarà più rilassato durante le lezioni e più fiducioso verso di lui.
Migliorare la comunicazione nel rapporto allievo-istruttore porterà  beneficio; l’allievo sarà più disteso e libero di fare domande ed esprimere i propri sentimenti e osservazioni.

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